Le celebrazioni che il Cremlino organizzerà il 9 maggio prossimo per festeggiare sulla Piazza Rossa l’80mo anniversario dalla vittoria nella Seconda guerra mondiale sono una utile cartina di tornasole per capire l’Europa di oggi, e le sue divisioni.
Nei giorni scorsi, un portavoce della Commissione europea ha spiegato che “le celebrazioni sono soltanto uno strumento della propaganda russa per giustificare l’invasione dell’Ucraina”. Ha poi ricordato che fin dal 2022 “i paesi membri hanno deciso di astenersi dal partecipare per evitare di legittimare la politica di Vladimir Putin”.
Almeno tre dirigenti politici stanno riflettendo se recarsi o meno a Mosca venerdì prossimo: il primo ministro slovacco Robert Fico, il premier ungherese Viktor Orbán e il presidente serbo Aleksandar Vučić (salute permettendo). I primi due guidano paesi membri. Il terzo presiede un paese che sta negoziando il suo ingresso nell’Unione europea.
Mi spiegava giorni fa un ambasciatore europeo a Bruxelles: “Certo se Fico e Orbán dovessero decidere di andare a Mosca, sarebbe un problema”. I due leader hanno preso posizioni in chiaro contrasto con gli altri paesi membri. La loro presenza o meno non farebbe che aggravare una spaccatura.
Più interessante forse è la questione posta da Aleksandar Vučić. Lo stesso portavoce della Commissione europea ha esortato Belgrado “a rispettare i suoi impegni sulla strada dell’adesione all’Unione europea, facendo propri i valori comunitari”. Ha poi aggiunto: “La Serbia deve rassicurarci sulla sua strategia”. Il tono era volutamente ambiguo e minaccioso.
La vicenda è interessante perché mette in luce tutti i limiti dell’allargamento dell’Unione europea, e delle posizioni assunte dalla Commissione europea in questo frangente.
Nei confronti di Mosca, la Serbia non può essere giudicata alla stregua di un qualsiasi paese europeo. Il suo rapporto con la Russia è storico, religioso, sociale, economico, prima ancora di politico.
I due paesi condividono lo stesso alfabeto cirillico e la stessa religione ortodossa. Quando nel XV secolo i Balcani furono occupati dai turchi, molti serbi trovarono rifugio sulle rive della Volga.
Più volte, successivamente, la Russia ha aiutato la Serbia contro l’impero ottomano e contro l’impero asburgico, fino a consentirle di ottenere l’indipendenza al Congresso di Berlino (1878). Il Cremlino infine combatté a fianco dei serbi nei due conflitti mondiali del Novecento, e naturalmente appoggiò il paese durante la disintegrazione della Jugoslavia.
Sul fronte economico, Mosca esporta verso Belgrado materie prime e armi, mentre importa dalla Serbia prodotti agricoli e prodotti farmaceutici.
L’imbarazzo a scegliere tra Bruxelles e Mosca si tocca con mano. In visita a Belgrado nelle scorse settimane ho discusso con alcuni studenti che da mesi manifestano contro il governo per via dell’elevata corruzione. Neppure loro vogliono essere costretti a scegliere tra l’Unione europea e la Federazione russa.
Qualche mese fa l’Assemblea Generale della Nazioni Unite approvò una risoluzione a favore di una pace giusta e duratura in Ucraina. Ufficialmente la Serbia si smarcò da Mosca, votando a favore. In quella occasione, il presidente Vučić si scusò clamorosamente con i serbi per aver erroneamente votato a favore della risoluzione e ha dichiarato che il paese avrebbe dovuto astenersi al momento del voto.
L’episodio è rivelatore, e suscita non poche domande. Al di là delle scelte europee nel rapporto con Mosca, quanto è lecito, o meglio lungimirante, chiedere o imporre alla Serbia posizioni nette nei confronti della Russia?
Alla domanda si potrebbe rispondere che la richiesta di adesione all’Unione europea è giunta da Belgrado, e che Bruxelles è legittimata a porre paletti. Al tempo stesso è altrettanto legittimo notare che è la Commissione europea ad avere fatto dell’allargamento un proprio obiettivo geostrategico. Quanto giustamente?