Oltre l’inflazione e la crescita – Piccolo viaggio nella Storia sui rischi delle guerre commerciali

Nella guerra commerciale che sta opponendo la Cina agli Stati Uniti guardiamo prevalentemente alle conseguenze economiche: un aumento dell’inflazione e un calo della domanda, entrambi per via dell’incremento dei dazi doganali.

C’è di più, purtroppo. Storicamente, le tensioni commerciali possono contribuire allo scoppio di conflitti, questa volta veri e propri.

Nel Trecento le guerre tra Venezia e Genova avevano come obiettivo il controllo degli empori nel Mediterraneo. Nel Quattrocento, per via di forme più o meno surrettizie di protezionismo, scoppiarono violente tensioni tra i principati tedeschi, in particolare tra Halle e Lipsia, tra la città di Colonia e il ducato di Gheldria.

Nel Settecento, le idee di Adam Smith impressero nella società occidentale di quel periodo la tendenza al libero scambio; finché all’inizio dell’Ottocento Napoleone decise di imporre un blocco continentale contro l’esportazione di merci inglesi verso l’Europa, nel tentativo di indebolire lo storico nemico d’oltre Manica.

In un primo momento, l’Inghilterra rispose imponendo restrizioni commerciali alle navi americane che commerciavano con la Francia. Restrizioni che contribuirono a un conflitto nel 1812 tra gli Stati Uniti e il Regno Unito.

Il 31mo presidente americano Herbert Hoover (1874-1964) che firmò lo Smoot–Hawley Tariff Act il 17 giugno del 1930

Più in generale il blocco continentale costrinse il Regno Unito a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento (in Canada e in Russia), e permise in ultima analisi al paese di rafforzarsi fino a sconfiggere la Francia a Waterloo nel 1815 (con l’aiuto dei prussiani).

Sempre nell’Ottocento due guerre scoppiarono tra la Cina e le potenze europee per via della produzione di oppio. La prima tra il 1839 e il 1842 prese avvio dopo la decisione cinese di proibire la coltivazione occidentale di papaveri, da cui viene tratto lo stupefacente. La seconda tra il 1856 e il 1860 impose alla Cina di legalizzare la coltivazione di oppio.

Anche i due conflitti mondiali del Novecento ebbero risvolti commerciali. La Grande Guerra scoppiò a Sarajevo dopo l’uccisione dell’Arciduca d’Austria per mano di un nazionalista serbo. A contribuire alle tensioni era stata, qualche anno prima, la Guerra dei Maiali (1906-1908) quando l’Austria tentò senza grande successo di bloccare le esportazioni di maiale di produzione serba.

Tra le due guerre mondiali crebbe il protezionismo, complici anche le gravi crisi economiche di quel periodo. Il rapporto tra la Germania e la Polonia fu segnato da una escalation di dazi commerciali sui due lati della frontiera, dopo che venne a scadere la clausola della nazione più favorita nel 1925.

Negli Stati Uniti, il crollo di Borsa del 1929, tra le altre cose, indusse il governo americano a varare lo Smoot–Hawley Tariff Act dell’anno successivo, che impose una politica protezionistica. Scrive lo storico Niall Ferguson nel suo Civilization – The West and The Rest: “Tra il 1929 e il 1932 il commercio mondiale si ridusse di due terzi”.

C’è la tendenza ad accusare il Giappone di avere attaccato a tradimento gli Stati Uniti il 7 dicembre del 1941 a Pearl Harbor. In realtà il rapporto tra Washington e Tokio era andato peggiorando nei mesi precedenti. La Casa Bianca aveva deciso di bloccare le esportazioni di petrolio verso il Giappone, creando non poca ansia in un paese tradizionalmente povero di materie prime.

In ultima analisi le misure di protezionismo commerciale possono sfociare in tensioni politiche e in confronti militari. Rischiano di provocare inflazione, recessione, disoccupazione; e soprattutto incertezza, incomprensione e risentimento, fino a giustificare in qualche modo l’escalation militare.

  • habsb |

    “In ultima analisi le misure di protezionismo commerciale possono sfociare in tensioni politiche e in confronti militari”

    credo che sia per questo motivo che Donald Trump ha preso iniziative per far saltare le misure protezionistiche che adottano le altre nazioni.
    Ad esempio, nessuno parla dell’IVA, assente in USA, che in Italia confisca 22% del potere di acquisto, percentuale considerevole, che potrebbe invece andare a pieno diritto a venditore (estero o italiano)

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