Ursula von der Leyen – Saldamente in sella, nonostante sei mesi scivolosi

Sono passati sei mesi da quando Ursula von der Leyen, 66 anni, ha iniziato il secondo mandato alla testa della Commissione europea. Era il 1° dicembre dell’anno scorso.

Per l’ex ministra tedesca della Difesa non sono mancate le difficoltà. Non mi riferisco tanto alla crisi nei rapporti con gli Stati Uniti o alla perdurante guerra russa in Ucraina. Da quando la signora von der Leyen è stata confermata alla presidenza dell’esecutivo comunitario non sono mancate le scivolate politiche.

All’inizio dell’anno la presidente si è ammalata di una «grave polmonite», che l’ha costretta ad allungare le vacanze natalizie. In quella occasione la Commissione è stata colpevolmente reticente a dare informazioni. Solo a cose fatte ha rivelato che la presidente era stata ricoverata in ospedale, malgrado le domande ripetute della stampa.

A tutta prima la mancanza di trasparenza non ha giovato alla sua immagine, soprattutto agli occhi dei giornalisti che quotidianamente seguono il suo lavoro a Bruxelles.

Il secondo incidente è più istituzionale, ed è scoppiato con il Parlamento europeo. Presentando in marzo un nuovo strumento finanziario con cui promuovere la difesa nei paesi membri, la presidente ha scelto di optare per una base legale molto particolare: l’articolo 122 dei Trattati, che esclude il Parlamento nell’iter di approvazione.

La vicenda ha provocato il fastidio dei parlamentari, tanto che è ormai probabile un ricorso dell’assemblea dinanzi alla Corte europea di Giustizia. Gli esiti del ricorso sono incerti. Poco importa. Ancora una volta l’incidente istituzionale non è stato positivo per l’immagine della presidente della Commissione.

Infine, il terzo infortunio riguarda il caso degli SMS che la signora von der Leyen ha scambiato con i vertici di Pfizer durante la pandemia. Interpellata dal New York Times, la Corte europea di Giustizia ha rimproverato nei fatti alla Commissione di avere preso sottogamba la vicenda, accusandola di non avere motivato a sufficienza il rifiuto di pubblicare i messaggi.

Il presidente Sergio Mattarella e la presidente Ursula von der Leyen, mercoledì 21 maggio, a Bruxelles. Fonte: Commissione europea

Le tre vicende hanno confermato indirettamente l’approccio centralizzato e poco collegiale della gestione von der Leyen. Eppure, se la tendenza può non piacere a molti, non sembra dispiacere ai governi. Anzi. Le gaffes – se così posso definirle – di questi ultimi sei mesi hanno lasciato le capitali per lo più indifferenti – in parte anche perché alle prese con non pochi problemi domestici.

D’altro canto, la centralizzazione ha i suoi pregi. “È la comodità del one-stop shop. I nostri presidenti o primi ministri possono rivolgersi alla presidente, sapendo che verranno ascoltati. Prende nota diligentemente delle nostre richieste, e ne segue l’iter all’interno della struttura”, mi spiegava di recente un diplomatico, descrivendo nei fatti il ruolo del notaio.

La trafila è verticale, il controllo dall’alto, la comunicazione centellinata. L’iniziativa personale dei commissari diventa limitatissima. Certo, ciò non elimina del tutto le possibili scivolate. Le posizioni della signora von der Leyen sul fronte americano o sul versante israeliano hanno provocato incomprensioni con alcuni governi. In alcune circostanze, la presidente è stata costretta a un rapido dietrofront.

La forza della presidenza si riflette nella debolezza del collegio. Quando furono nominati i commissari sono subito apparsi deboli, e molti hanno attribuito la loro debolezza alla selezione effettuata dalla stessa presidente. In realtà c’è da chiedersi se gli stessi governi non abbiano contribuito a mantenere debole il collegio. In alcuni casi perché essi stessi deboli in patria. In altri perché il centralismo è parso utile.

Significativa è stata la vicenda del fiammeggiante e forse troppo schietto Thierry Breton. Il presidente francese Emmanuel Macron ha accettato senza colpo ferire di sostituirlo, con Stéphane Séjourné, certo fidato ma più maneggevole.

In passato José Manuel Barroso era stato criticato per essere troppo alla stregua dei governi, mentre a Jean-Claude Juncker era stata rimproverata troppa autonomia dagli stati membri. Ursula von der Leyen ha trovato un equilibrio: centralizzazione al servizio dei governi (e di sé stessa).

Non è chiaro se la centralizzazione nella gestione della Commissione sopravvivrà. Certo la pandemia, e anche la guerra russa in Ucraina, hanno cambiato forse anche strutturalmente gli equilibri di potere nell’Unione europea. Molto però dipenderà dalla personalità del successore e dal modo in cui i governi e la persona interpreteranno la carica.

 

  • Nike12 |

    E’ solo una criminale e in prigione dovrebbe stare per sempre.

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