La guerra in Ucraina e il bilancio comunitario – Doppio rischio per i partiti di centro

Gli ultimi sondaggi rivelano che una maggioranza di europei continua a dare il suo appoggio al sostegno comunitario all’Ucraina. Secondo uno studio del Parlamento europeo pubblicato il 6 giugno scorso, il 69% delle persone interpellate si dice soddisfatto. Ma fino a quando?

Si moltiplicano nel mondo politico i segnali di fastidio, di stanchezza, di cautela. Di recente il Segretario alla Difesa britannico Ben Wallace ha rimproverato ai dirigenti ucraina di non dimostrare sufficiente gratitudine nei confronti del mondo occidentale e di considerare gli alleati “una specie di Amazon”. Nei corridoi dell’ultimo vertice della Nato a Vilnius la war fatigue era sulla bocca di molti. L’Unione europea e i Ventisette insieme hanno assicurato a Kiev aiuti per oltre 70 miliardi di euro.

“Stiamo assistendo a una stanchezza da guerra, a una stanchezza da Ucraina. Dobbiamo fare del nostro meglio per evitarlo”, ha detto di recente il presidente di centro-destra ceco, Petr Pavel. Ha aggiunto il presidente di centro-sinistra brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva: “Il mondo si sta stancando di questa guerra”.

Il tema esiste già da alcuni mesi, ma la questione sta montando, e potrebbe facilmente diventare argomento di campagna elettorale sia in Europa che negli Stati Uniti, soprattutto se se ne dovessero impadronire i partiti più radicali, a prescindere dai loro eventuali legami con la Russia.

I primi segnali sono già emersi. Tralasciamo per un attimo l’Ungheria, il cui premier Viktor Orbán gioca da tempo la carta dello scetticismo. Dubbi sulla guerra hanno espresso in forme più o meno nette il Rassemblement National in Francia, Alternative für Deutschland in Germania, il Vlaams Belang in Belgio, la Lega in Italia, il BBB e il PVV in Olanda. Finora queste posizioni sono rimaste minoritarie, attribuite spesso ai legami, veri o presunti, di questi partiti con il Cremlino.

Il rischio di un ulteriore repentino cambio di umore nelle opinioni pubbliche è ben presente tra i dirigenti politici e i funzionari comunitari qui a Bruxelles. La situazione economica potrebbe rivelarsi un perfetto retroterra: rimane debole e potrebbe peggiorare, soprattutto se la congiuntura in Germania dovesse rimanere fragile. C’è poi il rischio di una altra crisi energetica il prossimo inverno.

Peraltro, l’estrema destra è ormai al potere in vari paesi europei: in Svezia, in Grecia, in Italia, in Finlandia. Lo scetticismo nei confronti della guerra è un sentimento ormai legittimato anche a livello governativo.

In autunno entreranno nel vivo i negoziati in vista di una revisione del bilancio comunitario 2021-2027. La Commissione europea ha proposto un aumento di 66 miliardi di euro, da recuperare tendenzialmente attraverso nuovi contributi nazionali, a meno che non ci si metta d’accordo su nuove risorse proprie o nuovi prestiti sul mercato.

Guardando con preoccupazione alle ali più estreme della loro scena politica, numerosi governi si stanno preparando a difficili trattative. Sanno che sarà politicamente difficile promettere nuovi soldi a Bruxelles, mentre sono chiamati a ridurre il debito nazionale e chiedono nuovi sacrifici ai propri cittadini in termini di tagli previdenziali o nuove imposte.

(Nella foto, Caroline van der Plas, 56 anni, la leader del partito agrario olandese BoerBurgerBeweging, ha criticato il premier Mark Rutte per avere accolto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky il 3 maggio scorso, alla vigilia del Giorno dei Defunti, dedicato alle vittime olandesi delle guerre: “4 maggio… un giorno all’anno in cui commemoriamo le NOSTRE vittime di guerra. Un giorno. Questo dovrebbe essere l’obiettivo del 4 maggio! Non Zelensky!).