Crisi in Africa Occidentale – Per la Francia, un danno anche a Bruxelles

Che impatto avrà sulla politica estera ed europea della Francia l’incredibile perdita di influenza del paese in Africa? Negli ultimi due anni, Parigi ha assistito a violenti cambi di regime nelle sue ex colonie in tutta l’Africa Occidentale, ultimamente in Gabon. Poco importa se a Libreville il colpo di Stato non sembra sia stato macchiato da un rigetto dell’ex potenza coloniale.

A Parigi nessuno può dirsi sorpreso. Da anni il concetto di Françafrique fatto proprio dal generale Charles de Gaulle fin dalla decolonizzazione degli anni 60 è in crisi. Due anni fa un libro fece un resoconto impietoso delle relazioni tra Parigi e le sue ex colonie: L’Empire qui ne veut pas mourir. Une histoire de la Françafrique (Seuil, 2021).

French president Jacques Chirac (L) welcomes his Gabonese counterpart Omar Bongo, father of Ali Bongo, prior to a meeting, 29 August 2006 at the Elysee palace in Paris (Photo by PATRICK KOVARIK / AFP)

Secondo la Coface, la società francese che assicura crediti all’esportazione, la forza esportatrice del paese nel continente africano non ha fatto che diminuire negli ultimi venti anni. Addirittura nel 2017, la Francia ha perso il primo posto nella classifica dei fornitori europei dell’Africa, a beneficio della Germania. Tra il 2000 e il 2017 la quota francese nelle esportazioni verso il continente si è dimezzata, scendendo dall’11% al 5,5%. C’è di più. Nel 2022, due ex colonie francesi e tuttora francofone – il Gabon e il Togo – sono entrate nel Commonwealth britannico.

Filippo Scammacca è tra i diplomatici italiani che meglio conoscono l’Africa. A Roma ha lavorato molti anni alla direzione responsabile della cooperazione allo sviluppo. Oggi è ambasciatore in Camerun dopo esserlo stato in Zambia. Spiega da Yaoundé: “Grazie all’impostazione più realistica e pragmatica che li ispira, a partire dagli anni 60 i britannici hanno capito che i loro interessi erano altrove e che fosse meglio chiudere definitivamente il periodo coloniale cedendo il totale controllo dei nuovi Paesi alle loro élites locali”.

“A partire dalla fine degli anni 50 – continua il diplomatico italiano – i francesi hanno invece cercato di mantenerne il controllo attraverso la creazione di una classe dirigente “à la carte” (gli évolués) formata in Francia e legata ai valori societari francesi, con l’obiettivo mal celato di continuare a teleguidare le nuove nazioni dopo e malgrado l’indipendenza: è stata questa, in altre parole, la Françafrique che poteva avere una giustificazione in fasi di Guerra Fredda, ma che nella fase attuale di attacco all’ordine mondiale è una delle fonti che acutizza i sentimenti antifrancesi”.

A dire il vero il presidente Emmanuel Macron ha tentato di rivedere il rapporto con le ex colonie. In visita nel Gabon all’inizio dell’anno, ha tenuto le distanze con l’allora controverso presidente Ali Bongo, poi esautorato da un golpe militare dopo essere stato accusato per decenni di frodi elettorali e altre ruberie. In precedenza, nel 2019, lo stesso presidente Macron aveva messo fine al CFA, ossia al franco della Comunità Finanziaria Africana. Un gesto significativo, ma solo parziale: in alcuni paesi la moneta fu sostituita con l’eco, agganciato all’euro.

La perdita d’influenza nell’Africa Occidentale giunge in un momento molto particolare per Parigi. In Europa, il paese rimane tra i più influenti. Sul versante economico, è la seconda economia della zona euro, e negli ultimi tre anni è riuscito a ridurre almeno in parte il suo ritardo economico rispetto al partner-concorrente tedesco. È in corso uno straordinario tentativo di re-industrializzare il paese. Resta nel frattempo l’elevato indebitamento.

Sul fronte politico, la Francia approfitta di un impianto costituzionale che dà al presidente i pieni poteri in politica estera. Le scelte dipendono dall’Eliseo. Al tempo stesso, le crisi sociali degli ultimi anni – dalle proteste dei gilets jaunes alle manifestazioni contro la riforma pensionistica – hanno lasciato il segno. L’establishment è debole, spesso impopolare, alla mercé delle prossime elezioni presidenziali del 2027.

Per la Francia, gli ultimi colpi di Stato in Africa Occidentale (in Mali nel 2020, in Ciad e in Guinea nel 2021, in Burkina Faso nel 2022, in Niger e in Gabon nel 2023) segnano la fine di una epoca e soprattutto comportano un danno in termini di influenza e di immagine. Peraltro, altri paesi potrebbero seguire: dal Camerun al Senegal.

Per decenni, il paese ha potuto godere a Bruxelles di un proprio peso specifico, grazie all’arma nucleare, al seggio permanente nel consiglio di sicurezza, e soprattutto a una eredità coloniale che gli ha dato per molti aspetti una proiezione mondiale. Nessun altro paese membro poteva annoverare una così ampia “presenza multi-continentale”, come ama (o meglio amava) dire lo stesso presidente Macron.

Subitamente, il paese rimpicciolisce. Come per l’Italia e per la Germania, i rapporti con le ex colonie stanno diventando meno stretti e più imprevedibili. Almeno in un primo momento, la nuova situazione che si sta delineando nel continente africano rischia di indebolire Parigi non solo in Africa, ma anche a Bruxelles.

Anche alla luce di questo rischio, e a più lungo termine i dirigenti francesi dovrebbero avere la lucidità e la preveggenza di conferire la loro expertise africana all’Unione europea, un attore che nel continente continua ad avere una buona immagine. Sarebbe un modo per girare finalmente pagina, mantenendo un piede in Africa.