Una americana alla Commissione europea – Uno scandalo anacronistico?

Da alcuni giorni, Bruxelles è scossa da un piccolo terremoto provocato dalla nomina da parte della Commissione europea di Fiona Scott-Morton, 56 anni, alla carica di capo economista della Direzione Generale Concorrenza dell’esecutivo comunitario. La notizia ha fatto saltare sulla sedia alcune forze politiche e alcuni governi, in particolare quello francese.

Non piace l’effetto ottico. Come è possibile che mentre l’Europa tenta la strada di una nuova sovranità, la Commissione europea decida di nominare in una posizione così delicata una cittadina americana, attualmente professoressa all’Università di Yale ed ex consulente di numerose imprese digitali americane?

Critico della scelta, André Lange, un ex funzionario del Consiglio d’Europa, ha scritto su Twitter che “la cittadinanza influenza le scelte epistemologiche e metodologiche” di una persona. Per molti versi capisco la reazione epidermica. Al tempo stesso non ne sono pienamente convinto. Mi spiego meglio.

Prima di tutto, la posizione sul tavolo è consultiva. Mi spiegano dalla Commissione europea che il capo economista è alla guida di una squadra di 30 persone e che il suo compito, come d’altronde quello del servizio legale, è di offrire pareri e consigli. Sui casi di concorrenza, la decisione rimane sul fronte tecnico alla direzione generale e sul versante politico al commissario.

Peraltro, nei primi due anni di lavoro, la signora Scott-Morton non potrà occuparsi di società per le quali ha lavorato in passato (tra queste Apple, Microsoft, Amazon). Questa è la premessa. Veniamo ora alla sostanza.

Bruxelles spiega di avere ricevuto 11 candidature, di cui solo alcune ammissibili. Certo, è legittimo chiedersi come sia possibile che la Commissione europea non abbia trovato un cittadino europeo all’altezza della carica di capo economista della Direzione Generale Concorrenza. Al tempo stesso la scelta di una economista americana tra le più competenti in materia di antitrust forse non deve scioccare.

Il tema della concorrenza per l’Unione europea non è europeo, è mondiale. Bruxelles è chiamata a dare il suo assenso a fusioni & acquisizioni che riguardano aziende anche non europee, e soprattutto con caratura mondiale. C’è di più. Lentamente, si sta facendo strada l’idea che nel valutare fusioni tra gruppi europei la Commissione debba guardare non solo all’impatto europeo ma anche a quello globale.

Le questioni di antitrust sono un campo di battaglia mondiale, anche a livello regolamentare. Il confronto è principalmente tra Bruxelles e Washington. Le decisioni sui due lati dell’Atlantico non hanno solo un effetto concreto a livello societario. Diventano un modello per molte altre giurisdizioni.

Vi sono peraltro expertise che per loro natura non sono più nazionali, ma appartengono per necessità a un mercato del lavoro mondiale. I settori bancario, automobilistico, informatico vanno a selezionare i propri dirigenti in un bacino internazionale. Un ex governatore della Banca d’Inghilterra era un cittadino canadese, Mark J. Carney.

Nel 2020, Anu Bradford, una giurista finlandese che insegna alla Columbia University, ha pubblicato un volume dal titolo The Brussels Effect. La tesi dell’autore è che grazie al suo grande mercato unico l’Unione europea è diventata nei fatti una potenza regolamentare di primo ordine, in particolare nel campo della concorrenza.

L’expertise della signora Scott-Morton assume in questa ottica un interesse particolare. Gli osservatori più critici si chiedono se la cittadina americana non possa rivelarsi nei fatti un Cavallo di Troia delle imprese digitali americane nei corridoi della Commissione europea.

Il tema del conflitto d’interesse è molto attuale. Nei decenni le carriere professionali sono diventate talmente variegate che la questione esiste, e viene risolta – più o meno – con muraglie cinesi e periodi di raffreddamento (Chinese Walls e Cooling Periods, in inglese). Molti funzionari pubblici francesi passano allegramente dal pubblico al privato, e viceversa. L’attuale commissario al mercato unico, il francese Thierry Breton, è l’ex presidente di una società finanziaria, Atos. Mario Draghi, prima di diventare il governatore della Banca d’Italia, aveva lavorato per Goldman Sachs.

Ciò detto, tornando al caso della signora Scott-Morton, potremmo guardare all’altra faccia della luna e chiederci se proprio la presenza nell’esecutivo comunitario di una americana con conoscenza diretta di molte importanti aziende americane non possa essere un vantaggio per Bruxelles, in un momento in cui la Commissione deve applicare una serie di nuovi regolamenti (il Digital Services Act e il Digital Market Act).

La vicenda ha scatenato la reazione di alcune forze politiche. In una lettera inviata alla commissaria alla Concorrenza i capigruppo dei popolari, dei liberali, dei socialisti e dei verdi hanno esortato Margrethe Vestager di riconsiderare la sua scelta. Per ora, Bruxelles ha confermato la sua decisione, ma la signora Vestager ha accettato di essere sentita domani dalla commissione affari economici del Parlamento europeo.

Ieri sera il capogruppo verde, il belga Philippe Lamberts, si è dissociato dall’iniziativa degli altri parlamentari. Ha scritto su Internet: “Dopo aver parlato oggi con Fiona Scott-Morton, sono stato rassicurato. La sua esperienza nella politica di concorrenza ci aiuterà a combattere l’eccessivo potere di mercato a vantaggio dei contribuenti e dei consumatori dell’Unione europea”.

(Nella foto tratta da internet, Fiona Scott Morton, 56 anni. Insegna a Yale dopo aver ottenuto un dottorato al Massachusetts Institute of Technology e lavorato per il Dipartimento alla Giustizia).