Quando l’Europa mandò i militari a Cipro – I dieci giorni che hanno sconvolto la zona euro

BRUXELLES – La lunga domenica di Nicos Anastasiades è iniziata alle 9 del mattino in un velivolo delle forze aeree belghe. L’aereo era atterrato all’alba, inviato in tutta fretta a Cipro dal presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy. “Il presidente cipriota era impegnato sabato nei negoziati a Nicosia. Volevamo essere certi di poterlo avere qui a Bruxelles a metà giornata, prima dell’inizio dell’Eurogruppo”, racconta un protagonista delle trattative che hanno portato quella domenica notte, esattamente una settimana fa, a un soffertissimo accordo tra Cipro e i suoi creditori internazionali.


I dieci giorni che hanno sconvolto la zona euro, dal 15 al 25 marzo,
sono stati segnati da riunioni-fiume; teleconferenze improvvisate; gaffes e
incomprensioni; tensioni e timori; decisioni controverse, alcune rinnegate,
altre portate a esempio; e scelte dell’ultimo minuto come quella di Van Rompuy
di spedire un aereo belga per prelevare d’urgenza il capo di stato cipriota.
“Non sarei sorpreso – dice l’economista greco, professore ad Atene, Yanis
Varoufakis – se l’epilogo della crisi cipriota venisse registrato negli annali
della Storia come una svolta cruciale, come il momento in cui l’Europa ha
passato il Rubicone”.

Da un resoconto degli eventi l’impressione è che la partita cipriota non
sia terminata. Riuscirà il paese a ristrutturare le proprie banche e a rimanere
nell’Unione? Le stesse restrizioni ai movimenti di capitale decise a Nicosia potrebbero
estendersi anche in altri paesi? Più in generale, le trattative di questi
giorni hanno mostrato il successo di Van Rompuy, i limiti del neo-presidente
dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e l’impotenza dei ministri finanziari, sopraffatti
da accordi tecnicamente sempre più complessi. L’arrivo di Anastasiades a Bruxelles
domenica 24 marzo era stato preceduto da una settimana concitata.

Eletto in febbraio, il nuovo presidente cipriota decide subito di
rompere gli indugi del suo predecessore Demetris Christofias e negoziare un
pacchetto di aiuti con la Troika – la Banca centrale europea, il Fondo
monetario internazionale e la Commissione europea. Le trattative tra gli sherpa
si susseguono. Preoccupato dalla situazione ritenuta sistemica da molti
esponenti dell’establishment europeo, Dijsselbloem annuncia una riunione
straordinaria dei ministri delle Finanze della zona euro per il 15 marzo, sulla
scia di un consiglio europeo dei capi di stato e di governo destinato a
terminare quello stesso pomeriggio.

La riunione inizia in serata, ma subito si prospetta lunga. Nelle
trattative della vigilia i tecnici non sono riusciti a risolvere alcuni nodi
negoziali. L’Fmi pone il problema della sostenibilità del debito cipriota, come
aveva fatto a suo tempo con la Grecia. Chiede e ottiene un contributo del settore
privato, da associare ai prestiti internazionali. Sul tassare i conti bancari,
il governo Anastasiades è combattuto tra il desiderio di preservare i cittadini
ciprioti e l’istinto di graziare gli investitori russi. Il tira-e-molla dura
ore. Finalmente all’alba si delinea un compromesso: un’aliquota del 6,5% per i
depositi sotto ai 100mila euro, e del 9,9% sopra a questo livello.

Dijsselbloem chiede ai suoi colleghi di essere l’unico a fare una
conferenza stampa alle 4 del mattino per evitare la cacofonia: “Tutti accettano
– ricorda un diplomatico –. Peccato che l’uomo non si esprima sulla questione scottante
dei depositanti, lasciando tutti di stucco”. Nel giro di poche ore il pacchetto
provoca dubbi e risentimenti. A Cipro si moltiplicano le proteste contro il
prelievo forzoso. I più
critici sottolineano che la scelta di tassare anche i conti più piccoli rinnega
la promessa europea di garantire tutti i depositi sotto ai 100mila euro. Riassume
un altro
funzionario: “Si sono fatti i
conti senza l’oste, ossia conti troppo tecnici, poco politici”.

In effetti, due giorni dopo,
il parlamento cipriota boccia sonoramente il compromesso raggiunto a Bruxelles
dal ministro delle Finanze Michalis Sarris. Sulla scia del voto a Nicosia l’Eurogruppo
è costretto a una nuova riunione, questa volta in teleconferenza. I ministri
delle Finanze ammettono tra le righe di aver fatto un errore, e appoggiano il
tentativo cipriota di trovare una soluzione più equilibrata. Commenta sconsolato
un negoziatore europeo: “In quella circostanza, la conseguenza più grave è
stata di sabotare il governo Anastasiades appena nato con un programma europeista.
Per l’immagine dell’Europa l’impatto è pessimo”.

Ufficialmente, la palla è nel campo cipriota, ma gli esponenti più
lucidi dell’establishment europeo non si fidono di Nicosia: in balia degli
eventi? O alla ricerca di soluzioni bizantine? I ciprioti hanno vissuto per 500
anni sotto il dominio dei veneziani, degli ottomani, degli inglesi. Hanno visto
nell’ingresso nell’Unione un modo per affrancarsi dalle potenze regionali, ma
vedono ora in Bruxelles la nuova potenza dominante, con la quale giocare a rimpiattino.
Giovedì 21 marzo, la Bce decide di usare le maniere forti: avverte che
interromperà le iniezioni straordinarie di liquidità alle banche cipriote in mancanza
di accordo.

Mentre a Bruxelles in una audizione al Parlamento europeo Dijsselbloem deve
difendersi dalle critiche dei deputati e si assume “la piena responsabilità” delle
ultime decisioni dell’Eurogruppo, a Francoforte c’è il tentativo di forzare la
mano a Cipro, che nel frattempo cerca di strappare un aiuto russo. Quello
stesso giovedì, i ministri finanziari tornano a riunirsi in teleconferenza.
Impegnato a Mosca, Sarris è sorprendentemente assente. Al suo posto il ministro
del Lavoro Haris Georgiadis. “A
un certo punto – ricorda un partecipante – un ministro chiede se ci sia un
piano B, nel caso la vicenda precipitasse. Nessuno è in grado di rispondere…”.

Intanto, a Cipro monta la protesta popolare contro la chiusura delle
banche, imposta dal governo per il timore di una fuga dei capitali. Il
parlamento approva venerdì 22 marzo due leggi, sulla risoluzione delle banche
in crisi e sulle restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Il governo
cipriota ha deciso di riaprire gli istituti di credito martedì 26 marzo. Un’intesa
è ormai urgente, tanto che Dijsselbloem convoca un nuovo Eurogruppo per
domenica 24 marzo. Preoccupato dal fallimento del primo accordo, Van Rompuy
decide di cancellare un vertice Europa-Giappone a Tokio e di partecipare ai
negoziati in prima persona.

Mentre a Nicosia la Troika negozia con il governo cipriota, a Bruxelles
il gabinetto Van Rompuy organizza l’arrivo di Anastasiades domenica all’alba. “Decidiamo
di tenere come ultima ratio l’opzione di convocare un summit dei capi di stato
e di governo”, spiega un esponente comunitario. Intanto, arrivando a Bruxelles,
il presidente della Bce Mario Draghi avverte che il suo ultimatum scade alle 24
di domenica, non alle 18 di lunedì, come in cuor loro speravano in molti. Da
Cipro, il capo della Chiesa ortodossa Chrysostomos II,
dice: “E’ certo che l’euro non durerà nel lungo termine. La cosa migliore è di
pensare a come fuggirne”. Le carte sono ormai in tavola.

La prima sfida è di trovare una intesa nella Troika. Mentre l’Fmi chiede
la chiusura delle due banche più indebitate (la Laiki Bank e la Bank of
Cyprus), la Commissione vuole salvarne una perché continui a sostenere
l’economia. Un compromesso viene finalmente trovato. L’ostacolo da superare a
questo punto è cipriota. Legato all’establishment finanziario dell’isola,
Anastasiades vuole che i due istituti di credito rimangano aperti. “Lo stato di
salute della Laiki Bank è scandaloso. Impossibile per noi non imporre la chiusura”,
sbotta un negoziatore europeo A un certo punto, il presidente cipriota minaccia
addirittura le dimissioni.

Tardi nella sera di domenica, Sarris incontra alcune delegazioni
nazionali proponendo soluzioni che lo stesso Anastasiades aveva rifiutato con i
rappresentanti della Troika. Nuovo bizantinismo? Fuoco amico? “Eravamo a dir
poco confusi”, ammette un diplomatico. I negoziati sono condotti
da Van Rompuy e dai vertici della Troika; i ministri sono tenuti al corrente
saltuariamente: “Nei fatti l’Eurogruppo è stato estromesso – ricorda un altro
diplomatico –. Ha solo dato il suo benestare formale all’accordo finale”. Molti
ministri hanno passato la serata negli uffici della loro delegazione nazionale,
in frustrante attesa.

All’improvviso, dopo l’ennesima voce sulla convocazione urgente di un
summit dei 27, le parti trovano un’intesa, a ridosso della mezzanotte. Il
pacchetto prevede la chiusura della Laiki Bank, la ristrutturazione della Bank
of Cyprus, e l’impegno di depositanti e obbligazionisti ad assumersi le
perdite. Avverte un alto responsabile europeo: “La partita però non è chiusa.
L’economia cipriota aveva raggiunto dimensioni artificiali. Ora bisogna
riportarla alla taglia dell’isola. Oltre che aiutare il paese, bisognerà
seguire passo passo le ristrutturazioni bancarie e le stesse restrizioni ai
movimenti di capitale. Possiamo fidarci dei ciprioti?”.

In Europa, Cipro non gode di fiducia. A Bruxelles, e in altre capitali,
c’è poi la consapevolezza che la vicenda ha diviso i 17, lasciato cicatrici
forse indelebili nell’assetto dell’euro, indebolito lo stesso presidente dell’Eurogruppo.
Definire il contributo dei privati un nuovo modello nella gestione delle crisi
bancarie, come ha fatto Dijsselbloem, ha creato nuove tensioni sui mercati e
tra i governi. “Il 2013 sarà l’anno decisivo della crisi debitoria – predice un
diplomatico –. Il rischio è di assistere a tante piccole Conferenze di Monaco tipo
1938 nelle quali tutti dicono di avere vinto, ma in realtà tutti hanno perso, in
particolare l’Europa”. B.R.

(Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata nel Sole/24 Ore del 31 marzo 2013)

NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook

  • Claudio Marchiori |

    Interessante ricostruzione di fatti che sono stati presentati in modo frammentario da molti organi di stampa. Concordo con le conclusioni dell’autore sui tempi di soluzione della questione del debito. L’applicazione del modello Cipro non ė da escludere anche per l’Italia vista l’ottusità dei nostri politici, confortati ahimè dai risultati del voto.

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