Lezione da Cipro – Verso una ristrutturazione dei debiti europei?

La vicenda cipriota sta provocando nuove e gravi tensioni nella zona euro. La decisione dei 17 di tassare forzosamente i depositi ciprioti pur di ridurre l'ammontare dei prestiti internazionali al piccolo paese mediterraneo ha creato malcontento sia a Cipro che in altri paesi europei. Nicos AnastasiadesL'accordo raggiunto nella notte tra venerdì e sabato prevede una aliquota del 9,90% sui conti con oltre 100mila euro, e una aliquota del 6,75% su tutti gli altri depositi. Non è chiaro come la situazione evolverà. Il governo cipriota sta negoziando un nuovo pacchetto di aiuti per rendere la tassazione forzosa dei depositi meno difficile da accettare, anche al proprio parlamento che dovrà dare il proprio benestare. L'ultima voce parla di un pacchetto che prevede tre aliquote: 3% per i conti sotto ai 100mila euro, 10% tra i 100 e 500mila euro, 15% quando il conto ha più di 500mila euro. L'obiettivo è di rendere il tutto più equilibrato, risparmiando i meno abbienti e penalizzando i più ricchi. Se ne discuterà probabilmente nelle prossime ore durante una nuova riunione dell'Eurogruppo. Al di là di questo aspetto, la vicenda sta mostrando un notevole cambio di passo nella gestione della crisi. Ormai è chiaro che la nuova norma è di chiedere al settore privato di contribuire alla soluzione dello sconquasso debitorio. Nel 2012, la zona euro aveva chiesto agli obbligazionisti greci di accettare una ristrutturazione del debito sovrano. La Commissione europea aveva sempre detto che quella scelta sarebbe stata una tantum, un evento eccezionale. C'è ormai da dubitarne.


Nel novembre dell'anno scorso, l'Eurogruppo ha aperto la porta a una nuova ristrutturazione dei titoli greci, nel medio termine, se la sostenibilità del debito si rivelasse impossibile da raggiungere con le misure decise finora.
Qualche settimana fa il governo olandese ha deciso di salvare un istituto di credito in grave difficoltà, la SNS Reaal Bank, chiedendo ad alcune banche nazionali di contribuire all'operazione. Ora, in modo diverso nella forma ma simile nella sostanza, i risparmiatori ciprioti devono partecipare al salvataggio delle loro banche. Non è una vera e propria ristrutturazione del debito, ma è comunque una partecipazione forzosa al costo della crisi debitoria. Fin da quando è scoppiato lo sconquasso finanziario, due erano le possibilità per uscire in modo durevole dalla crisi: aumento dell'inflazione o ristrutturazione del debito. La prima soluzione è politicamente difficile, non solo perché la Germania sarebbe contraria, ma perché la lotta all'inflazione è ormai il pilastro acquisito su cui poggia l'unione monetaria. La seconda possibilità appare ormai più facile da perseguire. Non ne sono chiare però le modalità. Chi paga? Come si paga? Come dimostra il caso cipriota, il rischio dell'operazione è di creare ingiustizie sociali che potrebbero determinare drammatiche conseguenze politiche. Ciò detto, sembra ormai chiaro che risolvere una crisi debitoria con nuovo debito è diventato economicamente insostenibile. La Banca per i regolamenti internazionali (BRI) ha fatto notare questo fine settimana che il debito globale – detenuto dalle famiglie, dalle imprese non finanziarie e dai governi – è aumentato di 30 mila miliardi di dollari dal 2007 a oggi, pari al 40% del prodotto interno lordo mondiale. In Europa, secondo le stime della Commissione Europea, il debito complessivo della zona euro è salito da una media del 69,3% del PIL nel 1999-2003 al 95,1% del PIL stimato nel 2013. Alcuni paesi hanno fatto peggio. Il debito spagnolo è aumentato dal 53,9% del 2009 all'88,4% nel 2012. Quello portoghese, dall'83,2% al 120,6%. Quello francese dal 79,2% al 90,3% del PIL.

 

(Nella foto, il presidente cipriota Nicos Anastasiades)

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