BERLINO – Esiste una nota foto di Berlino degli anni Quaranta che coglie un momento di vita quotidiana: due cavalli stanchi che trascinano un aratro guidato da un uomo dall’età indecifrabile. Sullo sfondo troneggia la Siegssäule, la colonna della vittoria innalzata nel 1873 per celebrare i successi tedeschi contro la Francia, l’Austria e la Danimarca. La scena si svolge nel Tiergarten, il grande parco della città spoglio di alberi. L’osservatore disattento potrebbe pensare che la scena risalga agli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale quando la capitale stremata era assediata dalle forze alleate e qualsiasi lotto di terra era un orto domestico. In realtà la foto è del 1948.
Ai tempi Berlino, al centro di una grande regione della Germania controllata dall’Armata Rossa, era stata divisa in quattro dalla Conferenza di Potsdam: a Est la zona sovietica, a Ovest i quartieri americano, inglese e francese. Per undici mesi tra il 24 giugno 1948 e l’11 maggio 1949 Stalin tentò il tutto per tutto: bloccò le vie di comunicazione terrestre e fluviali tra Berlino Ovest e le zone d’occupazione occidentale nel tentativo di indurre gli Alleati ad abbandonare la città. Fu un fallimento clamoroso. Il blocco, primo episodio della Guerra Fredda, fu sconfitto da un ponte aereo senza precedenti, il Luftbrücke.
In un discorso nei giorni scorsi, l’attuale ministro-presidente di Berlino, il socialdemocratico Klaus Wowereit, ha definito l’operazione «un capolavoro della solidarietà ». Pochi anni prima gli stessi aerei che permisero a due milioni di berlinesi dell’Ovest di sopravvivere per undici mesi avevano raso al suolo decine di città tedesche. Il gravissimo bombardamento di Dresda, nel febbraio 1945, aveva fatto migliaia morti e danneggiato irrimediabilmente uno dei maggiori simboli dell’arte barocca in Germania. A far scattare il blocco sovietico fu una decisione economica: l’introduzione del marco nelle zone d’occupazione alleate il 18 giugno 1948.
A dire il vero però i primi segnali di un maggiore controllo sovietico nel transito verso Berlino Ovest erano apparsi all’inizio dell’anno. In un telegramma a Londra, il generale inglese Brian Robertson scrisse, riferendosi ai soldati dell’Armata Rossa: «Hanno stretto ulteriormente i bulloni della cortina di ferro (…) e stanno mostrando a noi e ai tedeschi che ci tengono per il collo». Quando i sovietici decisero di bloccare completamente le vie d’accesso alla città gli Alleati non poterono dirsi sorpresi. In quarantotto ore, il generale americano Lucius Clay organizzò un’operazione di logistica che a sessanta anni di distanza fa ancora impressione.
Le cifre parlano da sé: i voli, in media uno ogni 90 secondi, furono quasi 278.000, e trasportarono in tutto 2.325.809 tonnellate di merce, il 67% carbone e il 24% prodotti alimentari, ma anche medicine, giornali, pannolini e pezzo per pezzo una centrale elettrica tutta da rimontare. Il primo viaggio fu affidato a Jack Bennett, un pilota della US Air Force: «Si sentiva come un porcellino d’India, una cavia. Non sapeva come avrebbero reagito i sovietici», ha detto nei giorni scorsi la vedova, Marianne Bennett. Tra i primi voli anche carichi di uva passa, Rosinen in tedesco, tanto che da allora gli aerei del Luftbrücke sono noti con il nomignolo di Rosinenbomber.
Un istituto economico, il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung, aveva calcolato che la città avrebbe avuto bisogno di quarantaduemila tonnellate di prodotti alimentari al mese per sopravvivere. Tra il luglio 1948 e il marzo 1949, Berlino Ovest ne ricevette in media appena settemila. Per compensare la mancanza di viveri, il Tiergarten fu trasformato in un immenso orto. La foto dell’uomo con l’aratro fu scattata da Henry Ries, soldato e giornalista americano. Proprio in queste settimane l’immagine è in mostra al Deutsches Historisches Museum, sulla Unter den Linden, con altre decine di fotografie dedicate al blocco di Berlino.
Nato nella capitale tedesca nel 1917 in una famiglia della borghesia ebraica, Ries (allora di nome si chiamava Heinz) emigrò negli Stati Uniti nel 1938 e tornò nella sua città natale con un passaporto americano e una divisa della US Army. Lavorava nell’ufficio del Director of Intelligence e contribuì alla preparazione del Processo di Norimberga traducendo i documenti appartenuti a Heinrich Himmler. Il ruolo non era affatto banale, ma evidentemente Ries preferiva maneggiare la macchina fotografica piuttosto che la macchina da scrivere. Pubblicò fotografie sulle grandi riviste americane, diventando un fotografo del New York Times.
Le immagini di Ries testimoniano non solo delle sofferenze dei berlinesi durante l’isolamento della loro città: le prime tensioni della Guerra Fredda, le code nei negozi, i palazzi ancora decrepiti a tre anni dalla fine del conflitto. Mettono anche l’accento sulla nascita di nuovi vincoli di amicizia e solidarietà tra gli Alleati e i cittadini di Berlino che rifiutarono le offerte di cibo da parte dei sovietici. I bombardamenti di Dresda e di Francoforte, di Colonia e di Amburgo furono (almeno provvisoriamente) messi da parte. E nella sua Storia della Germania moderna, Golo Mann afferma che «nel corso di quell’anno le tre zone occidentali diventarono la Repubblica federale».
«Brennpunkt Berlin: Die Blockade 1948/1949». Der Fotojournalist Henry Ries. Deutsches Historisches Museum- Berlino. Fino al 21 settembre.