In missione recentemente a Budapest mi è caduto l’occhio in libreria su un libro dal titolo Orbán vs Soros. Il volume, appena uscito sia in ungherese che in inglese, è una biografia parallela delle due note personalità.
Mentre Viktor Orbán, 61 anni, è premier del suo paese dal 2010 (dopo esserlo stato anche tra il 1998 e il 2002), George Soros, di trent’anni più anziano – ha 94 anni – ha fatto fortuna sui mercati finanziari, ed è diventato un generoso filantropo. Entrambi sono ungheresi, anche se il secondo ormai è diventato americano e abita a New York.
L’autore si dichiara d’emblée un membro “della squadra del primo ministro Viktor Orbán”. Più precisamente, Gábor G. Fodor è un politologo, direttore nella capitale ungherese dell’Istituto del XXI Secolo, un centro-studi vicino al partito del premier Fidesz.
Il libro è chiaramente di parte. L’autore parla di Soros e di Viktor, scegliendo per il premier il nome anziché il cognome. Di Orbán dice che è “intelligente, coraggioso e agguerrito”. Di Soros spiega, tra le altre cose, che ha scritto “una serie di libri illeggibili” e che ha eluso le imposte con sofisticate costruzioni societarie. Mentre il primo ministro è un “patriota”, il finanziere George Soros è un “globalista”.
Eppure, nonostante la prospettiva di parte, il volume è interessante perché mettendo in luce una battaglia epica tra le due personalità ci permette di meglio capire l’Ungheria di oggi.
Curiosamente i due erano dallo stesso lato della barricata prima della Caduta del Muro. Anzi, se il partito Fidesz ha visto la luce è anche grazie all’appoggio di George Soros. Entrambi dopo tutto erano profondamente anticomunisti. Poco alla volta, tuttavia, il rapporto tra i due è andato peggiorando.
Tra le altre cose, sempre secondo l’autore, la relazione si è avvelenata perché Orbán a un certo punto ha rifiutato il sostegno finanziario di Soros, per paura di perdere la propria indipendenza politica. C’è di più. Tensioni sono emerse con la nascita a Praga dell’Università centro-europea (CEU).
L’obiettivo dichiarato di George Soros era di facilitare la transizione all’economia di mercato e alla democrazia liberale dei paesi dell’Est. L’autore invece preferisce parlare di un “programma di indottrinamento di massa”.
Scrive sempre Gábor G. Fodor: “Molti professori credono che la causa dei conflitti nel mondo è il nazionalismo e che il dovere nazionale è un fenomeno dannoso e luciferino, da consegnare alla Storia. In questo senso, sostengono che limiti devono essere imposti al potere assoluto degli stati-nazione”.
“Per la gente di Soros la comunità naturale non è lo stato-nazione ma l’umanità nel suo insieme”, aggiunge l’autore, convinto che il liberalismo sovranazionale e globalizzato di George Soros paventi due cose: “I governi di destra e il popolo”. I primi perché sarebbero in fondo nazisti. Il secondo perché è tendenzialmente selvaggio.
Non per altro, secondo Gábor G. Fodor, questo spiega perché “l’ebreo Soros non abbia alcuna simpatia per lo stato-nazione di Israele”.
Di tutt’altro spirito è la posizione del premier ungherese: “Viktor crede che Dio abbia creato non solo gli uomini, ma anche le nazioni. È scritto che le nazioni saranno dannate o celebrate (…) La nazione è una cosa sacra”.
Al di là delle diverse visioni del mondo, le due personalità si sono scontrate anche sul rapporto con Washington. Nel 2001, da primo ministro, Viktor Orbán decise di acquistare caccia militari dalla Svezia piuttosto che dagli Stati Uniti, provocando tensioni con l’establishment americano.
La scelta, spiega sempre l’autore, era dettata dal desiderio di mantenere nei confronti degli Stati Uniti una distanza di sicurezza: “Aveva a cuore la sovranità nazionale più di qualsiasi altra cosa”.
Secondo Gábor G. Fodor, da quel momento George Soros divenne la longa manu degli Stati Uniti in Ungheria. Forte delle sue iniziative filantropiche si sarebbe adoperato con matematica precisione per incrinare l’immagine di Viktor Orban, descrivendolo come anti-americano e anti-semita.
C’è di più. Agli occhi dell’autore la questione di genere è diventata l’ideologia dominante, nello stesso modo in cui in precedenza il dramma dell’Olocausto aveva impregnato il pensiero occidentale: “La cancel culture è diventata un mezzo per attaccare la cultura nazionale”.
In questo senso George Soros tenterebbe “di smantellare le identità chiuse, di delegittimare la nozione tradizionale di famiglia, promuovendo i diritti LGTB+; di delegittimare le nazioni, sostenendo l’immigrazione, il multiculturalismo, e le organizzazioni sovranazionali; e infine di delegittimare il significato della vita, promuovendo l’aborto, l’eutanasia e la legalizzazione delle droghe”.
In questa contesto, il libro afferma che l’uomo d’affari avrebbe deliberatamente promosso una identità rom in Ungheria, tendenzialmente anti-ungherese, prendendo di petto il premier Orbán che secondo l’autore voleva invece che i rom fossero innanzitutto ungheresi.
L’autore sostiene che “almeno il 90% delle accuse di antisemitismo rivolte al premier Orbán giunge dall’Impero Soros”. Quest’ultimo è “una rete costruita professionalmente e in gran parte autosufficiente” che secondo Gábor G. Fodor si insinua ovunque, fino a influenzare la magistratura, ungherese ed europea. Lo stesso procuratore in capo europeo, la magistrata rumena Laura Codruța Kövesi, sarebbe “una donna di Soros”.
Concludendo la biografia, l’autore dà dell’espressione “democrazia illiberale”, coniata dallo stesso Orbán, una accezione diversa da quella prevalente in Europa. Non illiberale, nel senso di autocratico o dittatoriale, ma illiberale in opposizione al liberalismo dei costumi e dei principi politici: “Secondo Viktor, i liberali hanno i giorni contati perché hanno girato le spalle ai principi nazionali, all’idea di una cultura condivisa e al concetto tradizionale di famiglia”.
Agli occhi del premier ungherese “un illiberale difende il popolo, difende la patria, preserva la cultura nazionale, respingendo l’influenza esterna e la costruzione di imperi”.
Al di là delle molte critiche che si possono formulare a Viktor Orbán – tra le altre cose per il modo in cui favorisce sia una clicca al potere a Budapest che un sentimento di ostracismo nei confronti degli omosessuali – il libro ha il merito di mettere in luce indirettamente le particolarità dell’Ungheria, un paese che a un secolo dal Trattato di Trianon (1920), quando perse due terzi del proprio territorio, soffre ancora della sindrome della sparizione.
L’aspetto forse più interessante riguarda il rapporto con gli Stati Uniti. Mentre Varsavia guarda più a Washington che a Bruxelles, il nazionalismo ungherese induce Budapest a essere sospettosa di entrambe le capitali. Se è vero che il futuro dell’integrazione europea dipende in ultima analisi da un affrancamento dagli Stati Uniti, paradossalmente Viktor Orbán potrebbe rivelare una insospettabile vena europeista.
Il volume di Gábor G. Fodor si intitola Orbán vs Soros, ed è stato pubblicato quest’anno dalla Fondazione per la ricerca della storia e della società dell’Europa centro-orientale. L’istituzione ha sede a Budapest.