FRANCOFORTE – Finora riottosa a qualsiasi piano europeo, la Germania sembra lentamente arrendersi all'idea che la partecipazione all'Unione monetaria le impone un obbligo di cooperazione. Per alcuni versi, la spiegazione sta nell'esposizione delle banche tedesche non solo verso l'Europa dell'Est quanto soprattutto nei confronti degli anelli deboli della zona euro: pari a circa un quarto del suo prodotto interno lordo.
Ieri ancora
una volta, dopo l'esternazione di lunedì, il ministro delle Finanze
tedesco si è espresso sull'ipotesi di una disintegrazione della zona
euro, complici le pressioni dei mercati sui Paesi più indebitati: nel
caso vi fossero Stati membri in difficoltà «mostreremmo la nostra
capacità di agire», ha detto Peer Steinbrück. L'ipotesi di uno
smembramento dell'Unione monetaria «è totalmente assurda, alla luce
delle sue conseguenze economiche ».
È quest'ultima l'espressione
chiave nella presa di posizione del ministro tedesco. I più recenti
dati della Banca per i regolamenti internazionali, la Bri di Basilea,
mostrano che le istituzioni finanziarie tedesche sono particolarmente
esposte verso i Paesi più deboli dell'Unione. L'indicazione non è
banale: segnala tra le altre cose che alla Germania l'ipotesi estrema
di una disintegrazione della zona euro proprio non converrebbe.
Alla fine del settembre scorso, le banche con sede legale in Germania
avevano a livello consolidato crediti nei confronti dei Paesi
industrializzati pari a circa 3.600 miliardi di dollari. I crediti nei
confronti della Spagna e dell'Irlanda, due Paesi che stanno facendo i
conti con lo scoppio di una bolla immobiliare e un forte indebitamento
delle famiglie e delle imprese, ammontavano rispettivamente a 280 e a
227 miliardi di dollari.
L'esposizione delle banche tedesche nei
confronti della Gran Bretagna, un altro Paese in evidente difficoltà, è
impressionante: oltre 723 miliardi di dollari. Certo, il dato potrebbe
essere influenzato dal ruolo della piazza finanziaria londinese nella
strategia degli istituti di credito tedeschi, ma rimane
sorprendentemente alto rispetto all'esposizione delle banche italiane
(84 miliardi) o francesi (427 miliardi di dollari).
A titolo di
confronto, sempre secondo i dati più recenti pubblicati dalla Bri, i
crediti spagnoli e irlandesi delle banche italiane erano pari
rispettivamente a 31e a 35 miliardi di dollari. Sul fronte dell'Europa
dell'Est, la situazione delle istituzioni tedesche è altrettanto
interessante: i crediti ammontano a 220 miliardi di dollari ( un totale
simile a quello sostenuto dalle banche italiane), con la presenza
maggiore in Polonia, Russia e Ungheria.
L'esposizione delle banche
tedesche verso gli Stati della zona euro più indebitati è elevata: pari
a circa il 9% del Pil nel caso della Spagna, al 7% nel caso
dell'Irlanda e all' 1% nel caso della Grecia. Il totale dei crediti
tedeschi nei confronti dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e
Spagna, cioè l'ex Club Med) è pari circa al 26% del Pil tedesco, mentre
l'esposizione delle banche italiane verso gli stessi Paesi,
naturalmente esclusa l'Italia, è di circa il 4% del Pil.
L'elevata
esposizione delle banche tedesche fa capire che per la Germania
assistere immobile a una (teorica) disintegrazione della zona euro
sarebbe rischioso, se è vero che la prima a soffrirne sarebbe proprio
la Repubblica Federale. «Stretti contro il muro – spiegava ieri Alex
Allen, di Eddington Capital Management – Germania e Francia salveranno
i Paesi più piccoli. Non si può lasciare fallire una parte del sistema,
perché fallirebbe l'intero sistema».
B.R.