Guerra in Medio Oriente – Una nuova sfida per la Germania e la sua “gestione del passato”

I segnali di sostegno ad Israele da parte dell’establishment tedesco si toccano con mano in questi giorni a Berlino. Sulla facciata dell’ufficio di rappresentanza della Baviera, nella Behrenstrasse, sventola la bandiera israeliana (oltre a quelle bavarese e ucraina). In metropolitana, sullo schermo del distributore di biglietti, appare una immagine, due mani che si stringono e la scritta Seite an Seite mit Israel, a fianco di Israele. Stessa scena anche al bancomat.

Per l’establishment tedesco, la difesa di Israele è una Staatsräson, ragione di stato come disse un giorno la cancelliera Angela Merkel, memore dei crimini nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Lo ha ripetuto recentemente il ministro ecologista dell’Economia Robert Habeck, 54 anni. Mai come questa volta tuttavia la questione è dibattuta. Non solo perché la violenza della risposta di Israele in Palestina è oggetto di dubbi, interrogativi, critiche, attacchi (nel suo ultimo numero, il settimanale Der Spiegel pubblica in copertina una foto di case distrutte dall’esercito israeliano a Jabalya con la scritta Albtraum, incubo).

La stessa società tedesca è cambiata enormemente nell’ultimo decennio. La presenza musulmana in Germania risale agli anni 50, quando molti turchi giunsero nel paese, attirati dal miracolo economico. Erano però Gastarbeiter, lavoratori temporanei, peraltro relativamente laici.

Durante la crisi migratoria del 2015-2016 si sono aggiunti molti iracheni, siriani, afghani. Nell’ultimo decennio la popolazione musulmana è salita da 4,0 a 5,5 milioni di persone (il numero dei soli siriani è balzato da 80mila a 900mila). Come non tenerne conto?

Le leggi contro le azioni antisemite sono particolarmente severe in Germania per ovvii motivi storici. Da quando è scoppiata la guerra in Medio Oriente, vi sono state 700 manifestazioni in tutto il paese, divise pressoché equamente fra pro-israeliane e filo-palestinesi. Finora 70 dimostrazioni sono state vietate per motivo di ordine pubblico.

Più in generale, le autorità pubbliche sono alla ricerca di un delicatissimo equilibrio tra la necessità di garantire la libertà di espressione e il desiderio di prevenire qualsiasi scivolata. Alcune scelte hanno provocato qualche alzata di sopracciglia.

Durante l’ultima Fiera del Libro, che si è svolta a Francoforte dal 18 al 22 ottobre, doveva in origine essere premiata l’autrice palestinese Adania Shibli. Il suo libro, Un dettaglio minore (La nave di Teseo, 2021), racconta la storia vera delle violenze subite da una giovane beduina da parte di soldati israeliani nel 1949. Troppo controverso di questi tempi, secondo gli organizzatori della Buchmesse, che hanno cancellato la consegna del premio.

La fiera si apre tradizionalmente con il discorso di uno scrittore proveniente dal paese-ospite. Quest’anno toccava a Slavoj Žižek, in rappresentanza della Slovenia. Pur denunciando senza mezzi termini le terribili azioni di Hamas, l’autore criticò la decisione di non consegnare il premio alla signora Shibli. È stato redarguito dalla Commissione federale incaricata di lottare contro l’antisemitismo.

Commenta Susan Neiman, direttrice della fondazione Einstein Forum di Potsdam: “La decisione di cancellare il premio è stata soprattutto un errore politico che non fa altro che alimentare l’opinione dei musulmani, e in particolare dei palestinesi, secondo cui la loro voce non può essere ascoltata in Germania”.

Qualche giorno fa sulla scia della guerra in Medio Oriente, le autorità tedesche hanno negoziato con le principali associazioni musulmane nel paese una dichiarazione in comune. Avevano trovato un accordo su vari fronti: la condanna degli attacchi di Hamas così come la censura di qualsiasi atto antisemita. Le autorità tedesche, tuttavia, si sono opposte al desiderio delle organizzazioni musulmane di mettere sullo stesso piano le lamentele israeliane e quelle palestinesi. La presa di posizione in comune non ha mai visto la luce.

“La difesa automatica di Israele da parte tedesca (…) non può che portare al risentimento”, avverte ancora una volta la signora Neiman, in un articolo per la New York Review of Books.

Pubblicamente il governo spiega che la lotta contro Hamas è un primo indispensabile passaggio verso la soluzione politica del problema mediorientale detta dei “due Stati”, uno israeliano e l’altro palestinese. In privato, membri dell’establishment tedesco ammettono però che la posizione filo-israeliana potrebbe contenere il seme di nuovi pericoli. Insomma il paese è alle prese con una nuova dimensione della Vergangenheitsbewältigung, vale a dire la gestione della propria Storia nazionale.

Nei fatti, la Germania è stretta fra l’impegno ad esprimere una storica solidarietà nei confronti di Israele, anche per evitare qualsiasi ritorno dell’antisemitismo, e la necessità di rispondere con realismo agli avvenimenti in Medio Oriente, tenendo conto peraltro dei sentimenti della sua pubblica opinione. Secondo un sondaggio ARD del 2 novembre, il 41% dei tedeschi ritiene che la reazione israeliana sia esagerata (per il 35% è appropriata, per l’8% non è sufficiente).

Fra le autorità tedesche serpeggia il timore che la situazione in Medio Oriente possa tradursi in una crescita dell’estremismo, vuoi anti-palestinese, vuoi anti-israeliano, se non addirittura antisemita. Mentre il partito di estrema destra Alternative für Deutschland ottiene già oggi oltre il 20% delle intenzioni di voto, è appena nato un nuovo movimento, il Bündnis Sahra Wagenknecht, che associa idee di estrema destra e di estrema sinistra.

(Nelle foto, due esempi visivi del sostegno tedesco ad Israele – Berlino/Francoforte ottobre-novembre 2023)