Il viaggio di Viktor Orbán a Mosca – Una interpretazione da Budapest

La visita a sorpresa che il premier ungherese Viktor Orbán ha compiuto a Mosca dove venerdì 5 luglio ha incontrato il presidente Vladimir Putin merita una spiegazione. Quanto segue è il risultato di una serie di conversazioni che ho avuto nei giorni scorsi a Budapest.

Si deve presumere che non vi sia paese in Europa che voglia sinceramente un allargamento della guerra russa in Ucraina, ma nessuno quanto l’Ungheria insiste per perseguire la pace e il dialogo con il Cremlino. Perché?

Alcuni considereranno il tentativo del premier Orbán un esempio di saggezza e di lucidità, mentre l’Europa è drammaticamente in bilico. Poco importa se l’uomo politico ungherese non avesse un mandato negoziale né da Bruxelles né da Kiev, il suo è uno sforzo per mantenere aperto il canale del dialogo.

Altri invece sosteranno che egli gioca opportunisticamente la carta del pacifismo a fini di politica interna ed europea. Affermeranno che l’uomo politico vuole distinguersi dalle sue controparti comunitarie, scombussolare le carte a Bruxelles, mettere in mostra le sue affinità politiche con il Cremlino, e dimostrare in patria la sua influenza internazionale.

C’è probabilmente dell’altro. Le scelte di Viktor Orbán – al netto della propaganda che in Ungheria attecchisce forse più che altrove – sono in linea con le preoccupazioni dell’opinione pubblica.

Secondo un recente sondaggio Eurobarometro, il 59% degli ungheresi ritiene che il proprio governo abbia reagito bene al conflitto (la media negli altri paesi europei è del 52%).

Parlando alla stampa bruxellese, il ministro per la comunicazione internazionale Zoltán Kovács faceva notare questa settimana che “l’85% degli elettori ungheresi ha votato alle scorse elezioni europee chiedendo ai dirigenti nazionali di perseguire attivamente la pace con Mosca”.

L’opinione, proveniente da una controversa figura dell’entourage del premier, è da prendere con le pinze. Eppure, il 1° giugno scorso tra le 100 e le 200mila persone hanno marciato per le vie di Budapest in “una marcia per la pace”, la decima della serie. Tutti pro-Orbán e magari anche pro-Putin? Non necessariamente.

Se il paese vuole la pace ed evitare un allargamento del conflitto, i motivi sono numerosi. Prima di tutto, l’Ungheria teme per il futuro della sua minoranza nazionale in Ucraina (in tutto tra le 100 e i 150mila persone). La regione della Transcarpazia è relativamente tranquilla, ma il fronte rimane vicino.

Tra i paesi dell’Europa centro-orientale, l’Ungheria è tra quelli che più soffre del conflitto. I prezzi dell’energia sono aumentati, non fosse altro perché il paese non ha accesso al mare. È tributario di idrocarburi russi, sempre più in forse.

Nel frattempo, l’economia si è indebolita anche perché i flussi commerciali Est-Ovest sono diminuiti grandemente, in un momento in cui i fondi europei sono stati congelati per via della deriva dello stato di diritto. Nel 2023 il PIL è sceso dello 0,9% (nell’Unione europea è salito dello 0,4%).

L’Ungheria è combattuta tra un giustificato orgoglio per una storia millenaria e un intrinseco senso di fragilità. Nel 1920, sulla scia della disintegrazione dell’impero asburgico, il paese ha perso due terzi del suo territorio e un terzo della sua popolazione: in particolare la Slovacchia a Nord, la Croazia a Sud, la Transilvania a Est.

Non ha perso solo l’acceso al mare – un aspetto per nulla banale perché fa del paese una enclave facilmente espugnabile al centro del continente; è stato anche costretto ad abbandonare generosi giacimenti minerari oggi in mani rumene e slovacche.

Un conflitto a meno di 500 chilometri di distanza è fonte di grandissima preoccupazione, anche per via di un timore nei confronti della grande Russia. L’Ungheria non ha subito il terribile destino dei paesi baltici o della Polonia, invasi e occupati ripetutamente, ma Mosca fa comunque paura.

Nel 1848, quando l’Ungheria fu attraversata dalle rivoluzioni liberali di metà Ottocento, l’imperatore Francesco Giuseppe riuscì a domare le speranze di libertà dei sudditi ungheresi grazie all’intervento delle truppe dello zar Nicola I.

Nel 1914, l’Ungheria godeva di una certa autonomia nell’impero austro-ungarico. Il primo ministro István Tisza votò contro l’entrata in guerra, senza successo.

Nel 1945, l’Armata Rossa sconfìsse la Wehrmacht nazista, ma occupò l’Ungheria, imponendo al paese una dittatura comunista durata fino al 1989.

Nel 1956, il tentativo ungherese di liberarsi dal giogo sovietico terminò nel sangue. Le repressioni dell’Armata Rossa provocarono circa 300 morti, e il primo ministro riformista Imre Nagy finì i suoi giorni appeso a una corda.

La guerra russa in Ucraina viene letta dai paesi europei secondo il prisma della loro esperienza storica.

Mentre la Francia respinge la tentazione dell’appeasement nei confronti di Mosca per paura di commettere nuovamente l’errore compiuto nel 1938 con la Germania nazista, l’Ungheria non ha dimenticato il ruolo di San Pietroburgo nello spegnere le rivendicazioni ungheresi di metà Ottocento.

Insomma, dietro al desiderio di Viktor Orbán di mantenere il dialogo aperto con Vladimir Putin non si nasconde solo affinità ideologica con il leader russo, entrambi credono alla fine della democrazia liberale, ma anche la sincera paura di un allargamento del conflitto.

Proprio questo timore spiega forse una contraddizione. Nonostante il desiderio di pace, Budapest è tappezzata di manifesti che incitano i giovani ad arruolarsi. Il governo ungherese sta conducendo questa estate una campagna di reclutamento di nuovi militari.

Sulle sponde del Danubio, il Bálna, il recente Centro di cultura militare, accoglie ogni settimana decine di giovani pronti a infoltire i ranghi dei riservisti ungheresi. Una mostra permanente dedicata alle forze armate nazionali è stata visitata da 100mila persone da quando è stata inaugurata nel 2023.

Da quest’anno alcune sale nel seminterrato del moderno edificio in vetro sono dedicate ai bambini che possono divertirsi a sparare con le pistole al laser o a simulare cadute libere.

(Nelle foto, il Bálna, il moderno centro di cultura militare sulle sponde del Danubio, a Budapest, e il ministro Zoltán Kovács)