Incontro con Iulian Ciocan, il romanziere che racconta il confronto USA-Russia in Moldavia

Sul Bulevardul Stefan cel Mare, l’ampio viale che attraversa il centro di Chișinău, marciava un tempo l’Armata rossa. Dinanzi al palazzo del governo, dall’inconfondibile stile sovietico degli anni 60, le truppe giravano il capo e salutavano la nomenclatura comunista al passo dell’oca. Erano gli anni della Repubblica socialista sovietica moldava. Oggi il centro della capitale è il teatro di nuove manifestazioni. Meno marziali, ma quanto meno inoffensive? Filo-russi e filo-occidentali si affrontano a colpi di slogan in una Moldavia attanagliata dalla paura del destino e teatro di un nuovo confronto tra Stati Uniti e Russia.

A 55 anni, Iulian Ciocan è tra i più popolari romanzieri moldavi. Con arguzia e ironia interpreta le idiosincrasie del suo paese. Lavora per una rete televisiva privata, spiega mentre passeggiamo alla ricerca di un caffè dove discutere della situazione in Moldavia, in stato di emergenza da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Nel 2015 lo scrittore pubblicava un romanzo nel quale immaginava l’occupazione russa della Moldavia (intitolato nella versione francese: Et demain les Russes seront là). “Siamo i prossimi in lista d’attesa”, conferma oggi, riferendosi al tentativo russo di riannettere il vicino ucraino.

A sorpresa non domina in questo paese un sentimento europeista. Nel 2004, quando l’Unione europea si allargò ai paesi dell’Est, l’appoggio popolare era evidente. Nell’antica Bessarabia, indipendente dal 1991 sulla scia della disintegrazione dell’Unione Sovietica, l’opinione pubblica è invece incredibilmente divisa, come confermano con regolarità i sondaggi della società demoscopica IMAS. “Siamo un paese permanentemente alla ricerca di un bilanciamento, dove gli equilibri politici appaiono sempre provvisori”, ammette Ciocan. La Storia pesa.

A differenza di altri paesi dell’Est, la Moldavia non può celebrare una passata indipendenza. Per secoli è stata dominata dai vicini: l’Ungheria, la Polonia, l’impero ottomano, la Russia. Fin dai tempi dello Zar e poi durante il periodo sovietico, ai moldavi fu imposta una russificazione di massa, pur di evitare una deriva verso la Romania, con la quale condividono la lingua. Ancora oggi i cartelli sono spesso bilingue. “Io stesso frequentai la prima e unica scuola dove le materie erano insegnate in rumeno. Era il 1975”, ricorda Ciocan, nato cittadino sovietico mentre al Cremlino governava Leonid Brežnev.

Ancora di recente vi sono state manifestazioni filo-russe in città. Com’è possibile? “C’è una fetta dell’opinione pubblica vicina a Mosca, per via di secolari legami storici, culturali e religiosi. C’è chi poi ha sofferto dello shock economico provocato dall’arrivo del capitalismo e più recentemente dell’elevata inflazione scatenata dalla crisi energetica. Spera in qualche nuova forma di assistenzialismo russo. Al tempo stesso, inchieste giornalistiche hanno rivelato che molti manifestanti sono remunerati per la loro presenza nelle dimostrazioni”. Da chi? “Dal principale oppositore al governo, il finanziere israelo-moldavo Ilan Shor, e forse indirettamente da Mosca”.

Sul fronte opposto anche i più europeisti manifestano, a fine maggio sostenuti dalla presenza a Chișinău della stessa presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Alcuni osservatori sostengono che il governo della giovane e dinamica presidente Maia Sandu non sia tanto filo-europeo quanto filo-americano, e ciò nei fatti spiegherebbe il successo delle contro-manifestazioni pro-russe. “È vero – risponde lo scrittore -: la Moldavia è oggi il teatro di un nuovo confronto tra Russia e Stati Uniti. Confronto che approfitta delle enormi difficoltà nel far coagulare i diversi sentimenti in questo paese”.

Il piccolo paese, poco più grande della Lombardia, è tra i meno noti in Europa. Incuneata tra l’Ucraina e la Romania, l’ex Repubblica socialista sovietica moldava è abitata da appena due milioni e mezzo di abitanti, a cui bisogna aggiungere una diaspora di un milione di persone scappate in cerca di fortuna, molte anche in Italia. A 30 anni dalla fine del comunismo, l’impronta sovietica sembra indelebile. Domina il grigiore degli edifici in serie, mentre le strade di Chișinău sono in perenne remont, in riparazione, come si diceva a Mosca ai tempi dell’URSS.

Sorprende anche un pudore d’altri tempi, ormai scomparso in Occidente. Le coppie sono timide e le effusioni rare. Anzi, un pomeriggio di fine maggio, in un parco cittadino, un poliziotto ha rimproverato pubblicamente una giovane ragazza perché si era allungata su una panchina, appoggiando la testa sulle ginocchia del partner. “Talvolta la polizia non fa differenza tra un bacio innocuo e un gesto osceno… – osserva il mio interlocutore -: eredità della religione ortodossa, del passato comunista, e forse anche di un certo ritardo nella corsa alla modernità”.

Nei suoi volumi, Ciocan descrive con acutezza la vita durante il regime comunista e le odierne difficoltà nel ricostruire valori e principi (Prima che Brežnev morisse è appena uscito da Bottega Errante Edizioni). “La corruzione è il nostro problema più grande e difficile da debellare. Ha radici sovietiche”. Il romanzo nel quale immagina una invasione russa del suo paese via la repubblica separatista di Transnistria, si rivela oggi realistico. “Temo che la Russia tornerà in Moldavia. Dipenderà molto da come finirà la guerra in Ucraina”. Mentre Iulian Ciocan si riavvia verso il Bulevardul Stefan cel Mare, nelle sue parole riecheggia quasi un fatalismo della Storia.

(Nella foto Iulian Ciocan, a sinistra, con l’autore)