Domande e risposte sul Meccanismo europeo di Stabilità – Una questione italiana

Il dibattito sull’opportunità o meno di ratificare il trattato che riforma il Meccanismo europeo di Stabilità continua a tenere banco in Italia. Qui di seguito alcune domande e risposte per chiarire i termini della questione, e offrire nel contempo una interpretazione della diatriba.

Quando nasce il Meccanismo europeo di Stabilità e quali sono i suoi compiti?

Il MES nasce nel 2012, sulla scia della crisi debitoria greca. È una istituzione intergovernativa, i cui azionisti sono i 20 paesi membri della zona euro. Il suo compito è di aiutare i paesi in crisi finanziaria che sono in grave difficoltà nell’accedere ai mercati. Distribuisce prestiti a tassi d’interesse convenienti.

Quanto denaro ha a disposizione?

Attualmente il MES ha a disposizione 417,4 miliardi di euro da distribuire ai paesi membri in caso di necessità. Il capitale sottoscritto ammonta invece a 700 miliardi di euro, di cui appena 80 miliardi effettivamente versati (14,5 miliardi provenienti dall’Italia). Quest’ultimo ammontare è usato come garanzia per consentire al MES di raccogliere denaro sui mercati con cui concedere prestiti ai paesi membri in difficoltà.

Quanti paesi sono stati aiutati finora dal MES?

Tre: Cipro, la Grecia e la Spagna.

Prima della nascita del MES come avvennero i salvataggi finanziari?

In un primo tempo, la crisi debitoria greca indusse i partner ad aiutare Atene con prestiti bilaterali per un ammontare di 53 miliardi di euro, di cui 10 miliardi versati dall’Italia. Successivamente nacque uno strumento noto con l’acronimo inglese EFSF (lo European Financial Stability Facility). Attraverso l’EFSF, furono concessi prestiti alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo per un totale di 185 miliardi di euro (di cui 33 miliardi provenienti dall’Italia).

Quali sono le differenze tra il MES e suoi predecessori?

Gli aiuti bilaterali così come gli aiuti provenienti via l’EFSF pesano direttamente sui debiti pubblici nazionali, almeno da un punto di vista statistico. Nel caso del MES, invece, il debito sottoscritto sui mercati così come i prestiti concessi ai paesi sono passivi del MES, non dei paesi azionisti.

Perché nel 2019 è stato riformato il trattato del MES?

Principalmente per permettere all’istituzione di essere il salvagente del Fondo europeo di risoluzione bancaria, nel caso questo non avesse sufficiente denaro per gestire una crisi creditizia. Nel contempo è stato deciso che il MES avrebbe un ruolo – alla pari della Commissione europea – nel gestire l’eventuale assistenza a un paese in crisi. Inoltre, la riforma prevede nuove linee di credito precauzionale: senza memorandum d’intesa nel caso un paese rispetti le regole di bilancio, con un protocollo d’intesa nel caso invece il paese non sia in linea con il Patto di Stabilità.

In questo secondo caso, verrà valutata la sostenibilità del debito?

Sì, ma con una differenza: mentre la Commissione europea deve garantire il rispetto delle regole del Patto di Stabilità, il MES deve garantire la restituzione del debito contratto dal paese in difficoltà.

È vero che la riforma del Trattato impone al paese beneficiario del prestito una ristrutturazione del debito pubblico?

No. Spiega la Banca d’Italia: “La riforma ribadisce che la ristrutturazione del debito sovrano con il coinvolgimento del settore privato rimane strettamente circoscritta a casi eccezionali. È alla luce di questa confermata eccezionalità che va interpretata la modifica – che avverrebbe a partire dal 2022 – delle clausole di azione collettiva (collective action clauses, CACs). In base a tale modifica, se un paese decidesse di procedere alla ristrutturazione del proprio debito, sarebbe sufficiente un’unica deliberazione dei possessori dei titoli pubblici al fine di modificare i termini e le condizioni di tutte le obbligazioni (single limb CACs), anziché richiedere una doppia deliberazione (una per ciascuna emissione e una per l’insieme dei titoli). Lo scopo di questa modifica è di rendere più ordinata un’eventuale ristrutturazione del debito».

In mancanza di ratifica il MES rimane operativo?

Sì. Il MES è pienamente operativo, secondo le regole del trattato attuale.

Perché l’Italia è l’unico paese a non avere ancora ratificato la riforma del MES?

Prima di tutto, vi sono motivi di opportunità politica: la coalizione attualmente al governo – e composta da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – ha sempre criticato la riforma del MES. È politicamente difficile oggi cambiare idea. Fra le altre cose, la coalizione al potere teme che l’Italia possa essere costretta a utilizzarlo, cadendo sotto il controllo delle istituzioni comunitarie. In secondo luogo, vi sono anche difficoltà pratiche.

Quali sono?

Nel novembre del 2022, il Parlamento italiano ha approvato una mozione dalla quale emergono due condizioni perché l’assemblea possa ratificare il nuovo trattato. La mozione impegna il governo “a non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del trattato istitutivo del MES alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo». La prima condizione non è più d’attualità, poiché tutti i paesi hanno ormai ratificato il nuovo trattato. Rimane la seconda.

La vicenda dura da anni ormai. Perché è tornata improvvisamente d’attualità?

Prima di tutto, le crisi bancarie negli Stati Uniti e in Svizzera hanno certamente riacceso le preoccupazioni sulla tenuta del sistema finanziario europeo e riportato alla luce la necessità di rafforzare il Fondo europeo di risoluzione bancaria. In secondo luogo, è lecito pensare che l’attuale presidente dell’Eurogruppo, l’irlandese Paschal Donohoe, voglia terminare il mandato, ottenendo un successo tangibile sul fronte delicato dell’unione bancaria.

Il governo italiano sta usando la mancata ratifica della riforma del MES per ottenere qualcosa in cambio su altri tavoli negoziali (la riforma del Patto di Stabilità o la revisione del piano nazionale di ripresa e resilienza)?

È possibile, ma non è chiaro quanto successo possa avere questa eventuale strategia. Certo, la condizione posta dal Parlamento italiano impone al governo di presentare ai deputati un qualche cambiamento, più o meno tangibile, del quadro regolatorio europeo, prima di chiedere la ratifica all’assemblea parlamentare.

I partner europei stanno facendo pressione perché l’Italia ratifichi. Quanto sono pressanti?

Da qualche settimana le pressioni sono certamente aumentate, e provengono da tutti i paesi, non solo da quelli preoccupati dal rispetto delle regole. I ministri delle Finanze chiedono per lo meno chiarezza sul percorso che l’Italia intende intraprendere. Non è chiaro tuttavia se vi sia un costo politico per l’Italia nel frenare la ratifica. Anzi, rovesciando la prospettiva potremmo chiederci se con una ratifica del trattato il governo Meloni non otterrebbe invece un premio di credibilità, utile su altri fronti attualmente in discussione a livello europeo.

(Nella foto tratta da Internet, il ministro italiano delle Finanze Giancarlo Giorgetti e il direttore generale del MES, il lussemburghese Pierre Gramegna, a destra)

  • carl |

    “A pensar male (G.Andreotti dixit..)…” la mancata ratifica potrebbe essere interpretata come indicativa di una netta propensione alla diffidenza e al cosiddeto “sovranismo” (che nel caso specifico non sarebbe “alimentare” bensì “debito-prestitario”…).

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