Crisi bancaria italiana – Il vero ruolo della Germania e il futuro dell’unione bancaria

La vicenda bancaria italiana è ormai diventata come i feuilletons estivi che i giornali pubblicavano in Francia alla Belle Époque. Ogni giorno, il lettore legge con impazienza una nuova e accativante puntata, facendo però un enorme sforzo per ricordarsi il filo del racconto dei giorni o delle settimane precedenti. Non passa giorno senza che si descrivano presunti “schiaffi” e “chiusure”, “aperture” e “altolà”. La Germania torna come al solito a fare la figura della cattiva, il paese che presumibilmente sta impedendo al Governo italiano di trovare un accordo con la Commissione europea per salvare le banche italiane. Quanto lo sia veramente in questa vicenda è tutto da capire. Il punto di riferimento per comprendere la posizione tedesca è quanto ha detto mercoledì 29 giugno la cancelliera Angela Merkel in una conferenza stampa qui a Bruxelles. 7f809c895f4269bd4ebdc58a7119d61a60b5885dA una domanda sulle regole bancarie e sulla possibilità di rivederle per evitare un impegno troppo gravoso degli investitori in un salvataggio bancario, la signora Merkel ha risposto: “Abbiamo lavorato per darci regole comuni su risoluzione e ricapitalizzazione bancarie. Non possiamo cambiare le regole ogni due anni. Le basi attuali offrono spazio per rispondere alle necessità di specifici stati membri”. I commentatori si sono concentrati sulla prima parte della frase. E se più importante fosse la seconda parte della presa di posizione tedesca? Che la Germania non voglia rivedere le regole europee è comprensibile: sono state firmate appena due anni fa, sono entrate in vigore all’inizio di quest’anno, riflettono il desiderio di pesare il meno possibile sui conti dello Stato e prevenire che pessime gestioni bancarie vengano risolte con il denaro del contribuente. È sbagliato evitare che il denaro di tutti venga utilizzato per correggere gli errori di pochi? Ciò detto, il governo tedesco è pragmatico, e lucido. Vi sono almeno tre ragioni per cui in questa vicenda vorrà avere un atteggiamento equilibrato.  Il primo motivo è istituzionale. La probabile uscita della Gran Bretagna dall’Unione ha lasciato la Germania senza un tradizionale alleato nella difesa del mercato comune e di una visione dell’economia più liberale che dirigista. In un momento in cui la Francia è in preda a grandi incertezze politiche e la Gran Bretagna sta prendendo il largo, l’Italia è vista come un alleato da coltivare, non un partner da contrastare. Il secondo motivo è politico. Non c’è paese che guardi con preoccupazione come la Germania al prossimo referendum italiano di ottobre sulla riforma del Senato. L’establishment tedesco teme che una sconfitta del premier Matteo Renzi possa mettere in pericolo la stabilità politica italiana, scatenare nuove elezioni dall’esito incerto mentre nella zona euro non mancano i fattori di instabilità. Il Governo Renzi è considerato positivamente. Agli occhi tedeschi, offre stabilità tanto più che bene o male ha introdotto riforme economiche positive. Ha senso da parte di Berlino indebolire il presidente del Consiglio italiano in una fase così delicata? Il terzo motivo è finanziario. Berlino è pienamente consapevole dei rischi economici che si nascondono dietro alla crisi bancaria italiana: i 360 miliardi di euro di sofferenze creditizie italiane rappresentano un terzo di tutti i crediti inesigibili della zona euro. È immaginabile, se non evidente, che la Germania voglia evitare un tracollo italiano che possa trascinare con sé il resto dell’Unione, mentre l’economia rimane fragile. C’è di più. I tedeschi stanno facendo i conti con l’incertissima situazione di Deutsche Bank, il cui bilancio è oberato da pericolosi derivati: una soluzione comunitaria per il Monte dei Paschi di Siena potrebbe essere il modello da usare, nel caso, per la banca tedesca. Ciò detto, il governo federale non può non essere prudente. Una fetta dell’establishment è comprensibilmente cauta. Sa perfettamente che le sofferenze creditizie italiane sono il frutto del clientelismo di una parte della società; che la crisi bancaria non è stata provocata dal referendum con il quale il Regno Unito ha deciso di lasciare l’Unione ma che risale a ben prima; e teme che vi sia il tentativo italiano di strappare concessioni senza mettere mano ai problemi strutturali del sistema bancario. Come non ricordare che la stessa signora Merkel deve fare i conti con i pregiudizi euroscettici di Alternative für Deutschland, che nei sondaggi raccoglie fino al 15% dei voti nei sondaggi a un anno dalle prossime elezioni tedesche? Se nella trattativa in corso la Germania si vorrà equilibrata, non bisogna dimenticare che dal negoziato dipende anche il futuro dell’unione bancaria. Nella prospettiva di Berlino, la crisi bancaria italiana così come il nodo delle sofferenze creditizie sono la conferma dei pericoli insiti nei bilanci bancari di alcuni paesi. Il completamento dell’unione bancaria, con la nascita di una garanzia unica dei depositi finora bloccata dalla Germania, dipenderà anche da come Roma e Bruxelles risolveranno la questione creditizia italiana, in modo convincente e risolutivo, o compromissorio e parziale.

(Nella foto, la cancelliera Angela Merkel durante la sua recente conferenza stampa a Bruxelles)

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