Ormai i paesi che vivono con difficoltà la loro permanenza nella zona euro o nell’Unione europea sono tre: la Grecia, sull’orlo del precipizio finanziario; la Gran Bretagna, che vuole rinegoziare il suo rapporto con Bruxelles; e l’Ungheria che nel corso degli ultimi anni ha inanellato una serie di scelte tanto controverse quanto unilaterali. Al paese guidato dal primo ministro nazionalista Viktor Orbán l’Unione sta stretta. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le occasioni di contrasto con Bruxelles. Questa settimana Budapest ha deciso di sospendere unilateralmente le regole relative all’accoglienza dei richiedenti l’asilo. Il cosiddetto Principio di Dublino prevede che il compito di accogliere il profugo spetti al paese di primo arrivo. La Commissione europea ha subito chiesto “chiarimenti immediati”, tanto che Budapest oggi ha pubblicato un comunicato in cui annunciava una retromarcia. In un certo senso, poco importa. Secondo Eurostat, l’Ungheria è stata nel 2014 il secondo paese in Europa, dietro alla Svezia, per il numero di richieste di asilo pro capite. In numeri assoluti, il governo ha registrato circa 43mila domande, rispetto ad appena 2mila nel 2012. Dall’inizio dell’anno, secondo le autorità ungheresi, 60mila migranti hanno attraversato le sue frontiere, provenienti dal Medio Oriente, ma anche dal Kosovo. “La barca è piena”, ha detto un portavoce governativo. La settimana scorsa, il governo ungherese aveva annunciato la costruzione di un muro alto quattro metri e lungo oltre 170 chilometri alla frontiera con la Serbia. La costruzione avverrà “il più velocemente possibile”, ha precisato oggi il ministero degli Esteri, nonostante anche questa decisione sia stata criticata da Bruxelles. La scelta di rinnegare il Principio di Dublino è solo l’ultima delle occasioni di tensione con Bruxelles. In aprile, Orbán aveva aperto un dibattito sulla possibile reintroduzione della pena di morte in Ungheria, suscitando vive critiche sia da parte della Commissione europea che di altri partner europei. Le decisioni sul fronte dell’immigrazione, così come il dibattito sulla reintroduzione della pena di morte, giungono dopo che all’inizio del decennio l’Ungheria aveva avuto con la Commissione europea un lungo contrasto, questa volta su alcune leggi che agli occhi delle autorità comunitarie mettevano in dubbio l’indipendenza della magistratura, della Banca centrale nazionale e dell’Autorità per la protezione dei dati personali. In quella occasione, alcuni paesi membri avrebbero voluto che Bruxelles utilizzasse contro Budapest l’articolo 7 dei Trattati. Questa norma prevede sanzioni per i paesi che violano i principi democratici dell’Unione. La Commissione europea, tuttavia, preferì utilizzare la tradizionale procedura di infrazione. Dal canto suo, il Parlamento europeo votò nel 2013 una mozione, chiedendo all’Ungheria di correggere la propria costituzione perché sia in linea con i valori comunitari. Parlare di un prossimo Hungarexit (alla stregua di un Grexit o di un Brexit) è esagerato, ma è evidente che l’Ungheria nazionalista vive con fastidio le regole comunitarie, e che c’è ormai nell’Unione un problema ungherese, meno storicamente radicato degli altri due, ma almeno oggi altrettanto pericoloso per l’immagine dei Ventotto e per la coesione della UE.
(Nella foto, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, 52 anni, in occasione di un recente vertice europeo, qui a Bruxelles)
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