BRUXELLES – La decisione annunciata ieri a Strasburgo di una maggiore flessibilità nel calcolo dell'impatto degli «investimenti pubblici non ricorrenti» sul deficit è un nuovo segnale di come la Commissione intenda facilitare l'uso della spesa pubblica mentre i Paesi dell'Unione affrontano una gravissima recessione. La scelta dell'esecutivo comunitario rischia però di deludere molti governi, in particolare quello italiano, perché la nuova interpretazione prevede molti paletti e condizioni.
«Voglio annunciare oggi – ha detto ieri il presidente della Commissione
José Manuel Barroso davanti al Parlamento europeo a Strasburgo – che nel
valutare i bilanci nazionali per il 2014, così come i risultati di
bilancio del 2013, considereremo caso per caso, nel pieno rispetto del
Patto di stabilità e di crescita, deviazioni temporanee dal cammino del
deficit strutturale verso gli obiettivi di medio termine specificati
nelle raccomandazioni-paese».
«Queste deviazioni – ha aggiunto l'uomo politico portoghese – devono
essere legate alla spesa nazionale nei progetti co-finanziati
dall'Unione». Barroso ha citato espressamente i progetti delle politiche
strutturali e di coesione, le reti transeuropee e il piano Connecting
Europe. La condizione per poter applicare la nuova interpretazione è che
gli stessi investimenti non comportino un deficit superiore al 3% del
Pil. Le parole del presidente sono state confermate da una lettera
inviata ai ministri delle Finanze europei dal vicepresidente della
Commissione Olli Rehn.
Alcuni governi speravano in cuor loro che le nuove regole sul calcolo
degli investimenti pubblici nei bilanci nazionali potessero riguardare
in generale tutta la spesa pubblica in conto capitale. La stessa
Commissione voleva pubblicare linee-guida più estese. Così non sarà.
Ieri i funzionari della Commissione hanno insistito per sottolineare che
solo i progetti co-finanziati dall'Unione potranno essere considerati
dalle autorità comunitarie. La Commissione così ha deciso per evitare
abusi.
D'altro canto, c'è sempre stato da parte di Bruxelles il timore di non
riuscire chiaramente a distinguere spesa corrente e spesa per
investimenti. È anche per questo motivo che la decisione annunciata ieri
è giunta solo ora, dopo anni di discussioni politiche e di analisi
tecniche. Peraltro, numerosi stati membri – in prima fila la Germania –
hanno sempre visto l'applicazione di questa regola con sospetto per
paura che venisse utilizzata da alcuni paesi per aumentare la spesa
pubblica e violare le regole di bilancio.
Per avere l'appoggio di Berlino su questa iniziativa, l'esecutivo
comunitario non poteva non introdurre criteri molto rigidi. Per molti
versi, la scelta della Commissione sarà un incentivo perché le autorità
italiane diventino più efficienti nell'uso dei fondi europei
(tradizionalmente il paese è carente nell'utilizzare il denaro
distribuito da Bruxelles). In questo senso, indirettamente, la nuova
interpretazione potrebbe rafforzare il ruolo del bilancio comunitario
nei singoli Paesi e in quanto volano europeo.
Oltre a rispettare il criterio del deficit, l'Italia dovrà soddisfare
anche il parametro del debito, riducendo di un ventesimo all'anno la
differenza tra il 60% del Pil e il livello attuale (127% del Pil nel
2012). Più in generale, l'annuncio di Barroso è un nuovo segnale di come
le autorità comunitarie stiano rivedendo il ritmo del risanamento dei
conti pubblici in un contesto economico difficilissimo e mentre si
moltiplicano le critiche alla strategia europea.
In un contesto di elevatissima disoccupazione, soprattutto giovanile,
negli scorsi mesi la Commissione ha concesso più tempo alla Francia e ad
altri paesi dell'Unione per ridurre il deficit sotto il 3% del Pil. Nel
contempo, l'esecutivo comunitario sta modificando in senso meno
restrittivo le regole sugli aiuti pubblici nell'economia e sta valutando
l'evoluzione dei deficit pubblici su base strutturale, al netto del
ciclo economico, più che su base nominale. B.R.