Nonostante i molti tentativi per uniformare i sistemi tributari, aumentare i controlli reciproci e ostacolare i paradisi fiscali, le scappatoie in questo campo a livello internazionale sono tantissime. Spesso lo sguardo corre al trasferimento di capitali in Svizzera o nel Liechtenstein, o alla scelta di alcuni cittadini francesi di traslocare in Belgio, dove la tassazione dei patrimoni è minore che in Francia (d'attualità le vicende di Bernard Arnault e Gérard Depardieu). Ma ci sono casi per molti versi ancor più eclatanti.
Anche Troy Alstead, direttore finanziario di Starbucks, è stato costretto a difendersi. I caffè inglesi della catena americana versano royalties del 6%. Alstead ha precisato che le royalties sono versate ad Amsterdam, e la metà viene poi trasferita "alla fine" negli Stati Uniti. Le royalties generate in Gran Bretagna sono tassate in parte in Olanda e in parte negli Stati Uniti per una media negli ultimi cinque anni del 16%, ha aggiunto Alstead. Un deputato conservatore di Peterborough, Stewart Jackson, si è domandato pubblicamente quali fossero le proprietà intellettuali che Starbucks può legittimamente dire di poter tassare all'estero. Il terzo caso sentito dalla Camera dei Comuni è stato quello di Amazon, che ha la sua base europea in Lussemburgo, come ha confermato il direttore degli affari legali, Andrew Cecil. Alcuni deputati inglesi ne hanno approfittato per ricordare che curiosamente quando acquistano libri online li ricevono in un pacchetto affrancato dalla British Royal Mail. A una domanda specifica su chi è proprietario della società in Lussemburgo, Cecil non è stato in grado di rispondere. Nick Smith, un laburista di Blaenau Gwent, ha quindi chiesto al dirigente di Amazon se potesse precisare ai deputati il fatturato del gruppo americano in Gran Bretagna. La risposta di Cecil – non a un giornalista ma davanti a una Commissione della Camera dei Comuni – è stata che finora Amazon non ha mai pubblicato dati per paese. Smith ha definito la risposta "ridicola", mentre la signora Hodge ha aggiunto che ciò "non è accettabile" e che "risposte appropriate" sono necessarie a "domande appropriate". Nel concludere l'animata audizione, durata tre ore, il presidente della Commissione di Westminster ha affermato che dal suo punto di vista le tre aziende starebbero manipolando il sistema fiscale ed evitando le tasse societarie. Parlando alla stampa inglese ha quindi esortato al boicottaggio delle tre imprese. L'appello è fine a se stesso, ma mentre i governi cercano disperatamente di risanare i loro conti pubblici è certamente probabile il tentativo di un nuovo giro di vite fiscale in Gran Bretagna e in altri paesi, non più solo nei confronti delle persone ma anche delle imprese. Non basta: per anni Londra si è opposta a qualsiasi armonizzazione fiscale in Europa. Che almeno in parte possa cambiare idea a un certo punto?
(Nella foto, Margaret Hodge, 68 anni, deputata laburista e presidente del Public Accounts Committee della Camera dei Comuni)
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