Oggi il rito greco ortodosso celebra la Pasqua (in ritardo di una settimana rispetto al rito cattolico o protestante). Ne approfitto per segnalare un piccolo libro di cui è autore Nikos Dimou, un saggista e filosofo greco che da ormai quattro decenni sta avendo fortuna con una piccola raccolta di aforismi sui suoi connazionali. Si intitola Dell’infelicità di essere greci. Non ho trovato una traduzione italiana, ma chi vuole può leggere il piccolo volume in francese, inglese, tedesco e naturalmente in lingua originale. Nato nel 1935 ad Atene, Dimou si è fatto un nome nella pubblicistica greca optando per commenti controversi e polemici per pubblicazioni come Kathimerini e To Vima, dopo aver fatto carriera per un certo periodo nel settore della pubblicità. Dell’infelicità di essere greci è uscito per la prima volta nel 1975, all’indomani del ritorno della democrazia e dopo sette anni di dittatura militare. Da allora ne sono state vendute centomila copie e stampate oltre trenta edizioni. Molti degli aforismi sono troppo paradossali per essere del tutto credibili. Altri però offrono forse uno spaccato della mentalità greca. La tesi di Dimou è che i suoi connazionali sono permanentemente esagerati. Fanno di tutto per aumentare lo scarto fra il desiderio e la realtà, vuoi aumentando le loro esigenze a livelli sragionevoli, vuoi distruggendo l’ambiente, vuoi facendo ambedue le cose. “In fondo – scrive Dimou – il greco ignora la realtà. Vive due volte al di sopra dei suoi mezzi finanziari. Promette tre volte più di quanto non possa fare. Afferma di conoscere quattro volte più cose di quanto non conosca realmente. Rissente (e compatisce) cinque volte più di quanto non sia capace di risentire”. E ancora: "La legge di Parkinson greca: due greci fanno in due ore (a causa di disaccordi) ciò che un greco farebbe in una sola".
Più seriamente, Dimou è convinto che i greci soffrano di un “complesso di inferiorità nazionale”. Scrive il filosofo: “La relazione che abbiamo con i greci antichi è una delle fonti del nostro complesso di inferiorità nazionale”, tale e tanta è la differenza tra la Grecia di ieri e quella di oggi. L’altra ragione del complesso di inferiorità, prosegue Dimou, “dipende da un confronto non rispetto al tempo, ma rispetto allo spazio. Con i nostri contemporanei sviluppati. Con l’Europa”. Lo scrittore si chiede quanto i greci siano veramente europei. “Molte cose ci separano dell’Europa, forse più numerose di quelle che ci uniscono ad essa. Minuscoli sono gli echi dei grandi movimenti culturali che hanno creato la civiltà europea contemporanea e che sono giunti fino a noi (salvo per alcune minoranza illuminate). Nessun Medio Evo erudito, nessun Rinascimento, nessuna Riforma, nessun Secolo dei Lumi, e neppure nessuna Rivoluzione Industriale. Da un punto di vista culturale, siamo forse più vicini alla Russia ortodossa degli slavofili che dell’Europa dei razionalisti”. In fondo chi siamo, si chiede ancora Dimou: “Gli europei dell’Oriente o gli orientali dell’Europa? Gli uomini sviluppati del Sud o i sotto-sviluppati del Nord? I discendenti (diretti) degli achei o il prodotto del miscuglio dei popoli di Babilonia?”. In una breve postfazione, l'autore spiega che il greco vive "tra la sete del più e la sua incapacità a gestire il meno". E ancora: "E' diviso tra il suo passato glorioso e il suo presente di miseria, una mentalità orientale e un'aspirazione europea, combattuto tra le forze della tradizione (la chiesa ortodossa per esempio) e quelle della modernità". Messa in questi termini la crisi greca si conferma essere non tanto economica, quanto probabilmente culturale.
(Nikos Dimou, Du malheur d’être grec – Payot, Parigi, 2012 – Nella foto, l’autore del volume)
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