Peter Bofinger, uno dei “cinque saggi” del governo tedesco, ha messo il dito sulla piaga: “Dobbiamo assolutamente chiederci in Germania se vogliamo continuare ad avere l’euro o meno. Dobbiamo avere questa discussione perché dobbiamo chiederci se riteniamo che valga la pena batterci per la moneta unica”. Pronunciate in televisione, mentre i mercati sono in preda a una forte volatilità, le parole di Bofinger suonano come un ultimatum. Giungono dopo che nelle ultime settimane il governo del cancelliere Angela Merkel ha oscillato nervosamente tra previsioni funeste e dichiarazioni rassicuranti sul futuro della zona euro. La scelta di prevedere il coinvolgimento degli investitori privati nelle future ed eventuali ristrutturazioni dei debiti sovrani è stata accolta malissimo in molti paesi d’Europa. Non tanto per la sostanza, quanto per la forma. L’idea di introdurre questo concetto nero su bianco nel Trattato ha innervosito i mercati, provocato un incremento dei rendimenti obbligazionari, imposto a molti paesi già in grave crisi un brusco aumento del costo del debito. Ormai, nelle riunioni diplomatiche a Bruxelles, la Repubblica Federale è guardata in cagnesco: volano parole grosse e non mancano battute di cattivo gusto su una storica tendenza dominatrice della Germania in Europa. Due sono le tesi che prevalgono nell'establishment politico europeo. La prima afferma che il paese è accecato dalla rabbia contro la Grecia per avere truccato i conti, contro l’Irlanda per non avere vigilato sulle proprie banche, contro il Portogallo per non capire la serietà della situazione. Convinto delle proprie ragioni, un po’ ingenuo e un po’ ottuso, il paese non si renderebbe conto che l’impatto delle sue azioni sui mercati è autodistruttivo. La seconda tesi è che la Germania avrebbe creato scientificamente tutto questo pandemonio per beneficiare di un calo dell’euro contro il dollaro, provocato dalle tensioni di mercato, di una diminuzione dei rendimenti obbligazionari tedeschi, e magari anche per indurre Irlanda e Grecia, Portogallo e Spagna a lasciare l’Unione monetaria. Come non notare – dicono in molti – che dall’inizio dell’anno il rendimento di un’obbligazione decennale tedesca è sceso di 50 punti base, mentre i tassi d’interesse dei titoli spagnolo, portoghese e irlandese sono saliti rispettivamente di 184, 310 e 420 punti base.
Nessuna delle due tesi mi convince. Non credo a una Germania inesperta e immatura. Piuttosto penso che il paese sia certamente arrabbiato con i suoi partner, e che una convinzione quasi etica di essere dalla parte del giusto la spinga a prendere posizioni estreme, nel tentativo anche di imporre la propria cultura della stabilità in tutta l’Europa. Peraltro, c’è una buona dose di opportunismo politico, poiché il 2011 è un delicatissimo anno elettorale e la signora Merkel sente di dover rassicurare la sua pubblica opinione che non verrà chiamata a essere l’ufficiale pagatore dell’Unione. Non credo neppure che Berlino stia tentando sotto sotto di espellere i paesi deboli per ridurre l’Unione monetaria agli stati membri più virtuosi. Dopotutto, ha accettato (controvoglia) di aiutare Grecia e Irlanda. Solo ex post le conseguenze della politica tedesca in questo frangente possono sembrare di beneficio alla Germania. Piuttosto penso che il paese, almeno in parte, non si renda conto dell’effetto delle sue azioni perché non ne soffre alcun impatto negativo. Eppure, oggi un’asta di titoli quinquennali tedeschi è stata sottoscritta solo in parte. Le ragioni sono essenzialmente legate a un prezzo troppo elevato, ma è possibile che il nervosismo dei mercati sul futuro della zona euro abbia indotto a una fuga degli investitori dall’Unione monetaria, e anche dalla Germania. La paura è che il debito tedesco possa aumentare per via dei salvataggi greco e irlandese, magari portoghese e spagnolo. Qualche giorno fa è cresciuto a sorpresa il costo di assicurarsi contro il fallimento della stessa Germania. Piccoli segnali, che non vanno sopravalutati. Ciò detto, stasera il quotidiano Handelsblatt titolava sul proprio sito: “Wie sicher ist Deutschland in der Schuldenkrise?” Quanto è sicura la Germania nella crisi del debito? Ormai basta poco perché anche i tedeschi si sentano minacciati direttamente dalla crisi creditizia che sta sballottando l’Europa. Come reagiranno se questo scenario dovesse concretizzarsi? Sarà questo il grilletto che indurrà finalmente la Germania a uscire allo scoperto e a scegliere da che parte vuole stare? E’ in questa ottica che l’appello di Peter Bofinger appare in tutta la sua drammaticità.
(Nella foto, Peter Bofinger, 56 anni, professore a Würzburg, è uno dei cinque saggi del governo tedesco).