“2014 – Come sopravvivere alla prossima crisi”

Congresso di Vienna In un libro appena uscito in Gran Bretagna e intitolato 2014 – How To Survive The Next Crisis, Nicholas Boyle, professore a Cambridge, ha fatto un parallelo tra la situazione attuale e il primo decennio del Novecento. Ricorda che alla fine della belle époque più nessuno o quasi si ricordava del conflitto franco-prussiano del 1870, un po’ come oggi nessuno più si ricorda della Seconda guerra mondiale. Giocando con le date e i periodi storici Boyle fa notare che un evento nei primi anni di un secolo tende a marcare, nel bene o nel male, i decenni successivi. Nel 1517, le 95 tesi di Lutero danno il via alla Riforma; nel 1618 la guerra dei trent’anni porta con sé un secolo di tensioni religiose in tutta Europa; nel 1715 la morte di Luigi XIV inaugura il secolo dell’Illuminismo che sfocerà nella Rivoluzione francese; nel 1815 la disfatta di Napoleone e il Congresso di Vienna spianano la strada alla rivoluzione industriale; nel 1914 l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando scatena due conflitti mondiali e una lunga guerra fredda. Boyle spiega queste coincidenze con il fatto che all’inizio di un nuovo secolo sono ormai adulti coloro nati negli anni 80 del secolo precedente, pronti a creare finalmente il loro futuro e a chiudere con un’era che non sentivano loro. Ecco quindi che a causa dello sconquasso finanziario e della crisi economica il professore inglese teme che il 2014 possa essere l’anno di un nuovo evento disastroso. Non so quanto la teoria possa essere convincente, ma è seducente e nasconde un chiaro ammonimento a un’Unione drammaticamente in bilico tra integrazione e disintegrazione.

Proprio il libro di Boyle può essere utile per rispondere a Marco Schultz, un lettore di questo blog che commentando un articolo di fine di agosto si è chiesto tra le altre cose: “Era proprio da fare questa Europa unita o era meglio rimanere alle vecchie frontiere e barriere del dopoguerra?”. Marco Schultz sostiene che l’unificazione dell’Europa è ancora incompleta e che la crisi ha mostrato molte divisioni e nazionalismi. Capisco il suo punto di vista. Per superare ovvie differenze, a iniziare dalla lingua, gli stati membri avrebbero dovuto in questi decenni superare le ritrosie e integrarsi maggiormente. Non è stato così, per vari motivi. Alla domanda di Marco Schultz, in parte retorica naturalmente, rispondo però che nonostante le tante pecche e le tante difficoltà il progetto europeo è stato di beneficio, più che di svantaggio. Ha creato in Europa almeno tre generazioni di italiani, tedeschi e francesi abituati a vivere in un grande continente. I più giovani si sentono a casa a Madrid come ad Amsterdam. Le imprese poi hanno dalla loro un enorme mercato da utilizzare per lanciarsi alla conquista del mondo. Il momento è delicato, ma pensare che si stava meglio prima è dimenticare che l’integrazione europea ha permesso alla Spagna di diventare una democrazia, all’Italia di modernizzarsi, alla Germania e alla Francia di lasciarsi alle spalle quasi un secolo di guerre cruenti. Oggi, permettere che in Europa riemergano i nazionalismi significa permettere alla teoria di Boyle di diventare realtà.

(Nella foto, il Congresso di Vienna in una stampa dell'Ottocento)

  • danilo72 |

    Lo sconquasso somma di coincidenze e predizioni che tutti ormai fanno o riprendono da chissà dove, casomai, dovrebbe essere appuntamento del 2012.
    Fuor di superstizione e di studi sul passato, certo utili e formativi, non vi sono elementi particolarmente fondanti per prevedere cosa succederà nel 2014.
    Si può ipotizzare uno scoppio catastrofico di bombe atomiche in medio oriente tra gli attori Iran e Israele, ma son decenni che si prevede l’ultima guerra distruttiva, e cioè fin dal 1946.
    Ragionevolmente pare di vedere un continuo livellamento delle situazioni economiche e sociali che, paradossalmente, riduce le differenze abbassando il livello dei conflitti a continue scaramucce commerciali e/o a ricatti umanitari tra i paesi un po’ più ricchi (a crescita zero) e quelli in via di sviluppo. La sfida non è sopravvivere ma vivere (tutti).

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