Tornando in Germania dopo un periodo di vacanza mi sono fermato nella regione di Verdun, la cittadina francese al centro dei cruenti combattimenti franco-tedeschi durante la Grande Guerra.
Dall'esterno il forte sembra poco più di un rudere. Ma all'interno l’ambiente è rimasto praticamente inalterato: semplicemente per mancanza di fondi o nel tentativo – riuscito peraltro – di dare un piccolo assaggio di come doveva essere la terribile vita quotidiana dei soldati in un luogo stretto, umido e malsano? In realtà, poco importa: il visitatore non rimane indifferente. Nel percorrere i lunghi corridoi scopre volta per volta le camerate (nella foto), la cappella, le latrine, i serbatoi di acqua potabile, il deposito delle munizioni, la torretta nella quale è ancora oggi incastonato un enorme cannone, ai tempi tecnicamente all’avanguardia. Non mancano neppure i forni della panetteria interna. Le gallerie sono terribilmente fredde; dai soffitti ricoperti qua e là di muschio verde cadono gocce di umidità. Nell'inquietante penombra – le feritoie fanno filtrare una luce molto debole anche a mezzogiorno – nessuno si azzarda a entrare in alcune delle sale troppo lontane dal percorso principale segnalato dai cartelli in francese, inglese e tedesco. Nell’impossibilità di uscire dalla fortezza, quando era sotto assedio, i soldati seppellevano i compagni uccisi come potevano, sovente in fosse comuni ricavate all’interno dell’avamposto, direttamente nelle spesse mura della fortezza, come testimoniano alcune targhe. Oggi, a quasi un secolo di distanza e mentre l'Unione Europea attraversa una brutta crisi politica ed economica, il Fort de Douaumont mi è sembrato un drammatico ammonimento contro gli effetti nefasti del nazionalismo, più efficace di molti musei o discorsi.