Sotto alla pressione degli eventi le autorità nazionali hanno dimostrato maggiore responsabilità, sostengono esponenti del grande mondo della vigilanza bancaria europea. Detto ciò, molti addetti ai lavori restano cauti. I salvataggi in extremis di Fortis o di Dexia non sono stati un vero test per l’attuale sistema decentrato di vigilanza creditizia. È vero che a intervenire insieme sono stati ben tre governi, ma a facilitare una soluzione sono state le vicinanze linguistiche e culturali tra il Benelux e la Francia. La preoccupazione è che casi culturalmente meno omogenei siano più difficili da rilevare e da risolvere. Addirittura c’è chi sostiene che il calo in Borsa di UniCredit negli ultimi giorni sia almeno in parte da attribuire proprio a un sistema di vigilanza bancaria decentrata, che per un istituto presente in 23 Paesi non darebbe agli investitori sufficienti garanzie. La Commissione Europea ha presentato nei giorni scorsi misure per rafforzare la collaborazione tra enti nazionali. Purtroppo entreranno in vigore nel 2010. Apparentemente è il massimo possibile in questo momento, anche per colpa della Germania. I tedeschi non vogliono sentir parlare di una vigilanza paneuropea. In parte ne temono gli aspetti burocratici; in parte vi è anche il timore che un ente sovranazionale possa mettere il naso negli istituti di credito tedeschi e magari diventare un nuovo grimaldello in mano all’Europa per "aprire" il mercato bancario pubblico (che rappresenta il 50% dei depositi). La scelta tedesca è criticabile. Non solo perché l’Europa corre un rischio enorme a non avere una vigilanza centralizzata, ma anche perché lo stesso sistema creditizio tedesco potrebbe trarne giovamento. Se oggi molte banche tedesche sono nell’occhio del ciclone è anche perché la sorveglianza bancaria in Germania è poco indipendente, vittima dei conflitti d’interesse creati da un settore creditizio in larga parte controllato dalla classe politica.