L’ipotesi di una uscita della Grecia dalla zona euro continua a circolare insistentemente, mentre le trattative tra il paese mediterraneo e i suoi creditori arrancano. Ad Atene, il governo greco lascia intendere che non pagherà i debiti con il Fondo monetario internazionale nel caso non trovasse un nuovo accordo con i suoi creditori da cui dovrebbe ricevere aiuti per 7,2 miliardi di euro pur di evitare il tracollo. In Finlandia, il giornale Helsingin Sanomat ha spiegato che il governo locale si sta preparando al peggio, vale a dire all’uscita del paese dall’unione monetaria. In Gran Bretagna, la Banca d’Inghilterra ha chiesto alle banche inglesi di preparare piani di emergenza. Spiegava qualche giorno fa un diplomatico europeo: “Non vorrei che ormai ci stessimo assuefacendo all’idea che l’uscita della Grecia dall’unione monetaria sia possibile”. Nel 2012, quando era ancora primo ministro greco, l’ex banchiere centrale Lucas Papademos aveva fatto capire che una tale evenienza avrebbe avuto effetti politici, economici e sociali disastrosi: “Chi propone l’uscita dall’euro – disse in una intervista al Sole/24 Ore – sostiene che una nuova valuta svalutata migliorerebbe la competitività del Paese rapidamente. In realtà le conseguenze sarebbero devastanti. Il ritorno della dracma provocherebbe elevata inflazione, instabilità del cambio, e una perdita di valore reale dei depositi bancari”. L’allora premier mise l’accento su un forte aumento della disoccupazione e su possibili violenti tensioni sociali. Per molti versi, c’è un esempio storico nel Novecento che potrebbe illustrare le conseguenze di una eventuale uscita della Grecia dall’unione monetaria, con il fallimento del paese e l’interruzione da parte della Banca centrale europea del rifinanziamento delle banche greche. L’iperinflazione negli anni della Repubblica di Weimar fu provocata da molti fattori, in particolare da un forte aumento della carta moneta con l’obiettivo di rilanciare l’economia dopo il conflitto, associato alla decisione del governo tedesco di abolire il legame tra il Reichsmark e il gold standard, lasciando la moneta tedesca senza un valore di riferimento nell’economia reale. Una circostanza, quest’ultima, non dissimile dalla necessità di stampare dracme nel caso non ci fossero più euro. L’impatto della scelta tedesca fu travolgente. Il 10 giugno 1922 nacque il primo biglietto da 10mila marchi, che si rivelò rapidamente inutile. L’iperinflazione mise radice, così come l’economia del baratto. Nel settembre 1923 a Berlino, un francobollo costava tre milioni di marchi, un biglietto della metropolitana due miliardi di marchi, una libbra di pane 260 miliardi di marchi. Le foto delle infinite mazzette di banconote utilizzate come carta da parati o per accendere il fuoco sono ormai banali. Più interessante è ricordare che si moltiplicarono le rapine e i furti. Gli attacchi contro i trasporti viveri erano così frequenti che le cariole di pane o di mele erano protette dalla scorta della polizia. Gli impiegati delle poste rubavano i pacchetti. Nella sola città di Berlino, i disoccupati erano 360mila su una popolazione nel 1923 di quattro milioni. Aziende come AEG versavano parte dei salari ai dipendenti in materia prima, il pane. Altre società remuneravano i lavoratori con vestiti o scatole di conserva. I giornali dell’epoca raccontano che i berlinesi non esitavano a rapinare le fattorie in campagna, rubando le patate nei campi ma anche i maiali nei porcili. Solo in quell’anno centotré persone furono raccolte nelle vie di Berlino, morte di fame. La situazione si stabilizzò solo quando gli Stati Uniti accettarono di ristrutturare il debito accumulato dopo il conflitto per pagare le riparazioni di guerra e il governo adottò una nuova moneta, il Rentenmark. Da allora molto è cambiato; soprattutto le autorità monetarie hanno imparato molto dall’esperienza tedesca, ma è probabilmente memore di quel periodo che secondo il settimanale Die Zeit il governo tedesco sta riflettendo in questi giorni alla possibilità di continuare a finanziare le banche greche attraverso la Banca centrale europea, a dispetto del mancato pagamento di debiti internazionali e del fallimento del paese. Interpellato ieri dalla stampa, il portavoce dell’esecutivo federale a Berlino non ha commentato l’articolo della rivista.
(Nella foto, berlinesi in coda per l’acquisto del pane nel 1923 – La polizia fa la guardia)