Rialzo dell’inflazione – Dalle pensioni (indicizzate) un nuovo rischio economico per la zona euro

Delle tante conseguenze legate al ritorno dell’inflazione – oscillava nella zona euro intorno al 9,1% annuo in agosto – ve ne è una che non salta agli occhi immediatamente, ma che rischia di pesare non poco sui bilanci pubblici, in un contesto nel quale l’economia europea deve già fare i conti con il rischio concreto di una recessione e il debito pubblico è già in forte aumento in molti paesi. Mi riferisco all’indicizzazione delle pensioni.

Un recente articolo pubblicato all’inizio dell’anno dalla Banca centrale europea a firma di Cristina Checherita-Westphal ha il merito di spiegare quale sia la situazione paese per paese, e di ricordare l’impatto deleterio che l’indicizzazione può avere non solo sulla stessa inflazione, per via di un effetto in seconda battuta, ma anche sui bilanci nazionali.

La piena e automatica indicizzazione delle pensioni all’andamento dei prezzi è presente in sei paesi della zona euro: Belgio, Grecia, Spagna, Italia, Lussemburgo e Slovacchia. Questi paesi rappresentavano nel 2021 il 37% della spesa pensionistica totale. In Spagna, l’indicizzazione automatica è stata inserita in una nuova legge entrata in vigore quest’anno. In Grecia, l’indicizzazione è per ora congelata, ma verrà ristabilita l’anno prossimo.

In un secondo gruppo di paesi l’indicizzazione all’inflazione è parziale, ossia può essere negoziata volta per volta o è legata anche all’andamento dell’economia e ad altre variabili. In questo caso, i paesi sono la Francia, Cipro, l’Austria, il Portogallo, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Slovenia e la Finlandia. Insieme questi Stati membri pesano per un terzo della spesa pensionistica totale nella zona euro.

In Germania e in Olanda, l’indicizzazione alle pensioni è legata all’andamento degli stipendi e del salario minimo. Infine, l’unico paese nel quale l’indicizzazione non è automatica e viene decisa volta per volta al momento della preparazione della Finanziaria è l’Irlanda.

«Nel medio termine – spiega la signora Checherita-Westphal – si deve prestare la dovuta attenzione anche alle conseguenze di bilancio provocate dagli aumenti (…) delle pensioni pubbliche (…) soprattutto nei Paesi con un debito elevato e costi di invecchiamento elevati». Il commento è freddo e asettico; ma agli occhi di un uomo politico o di un dirigente pubblico la questione fa (o dovrebbe fare) paura.

Concretamente, e per fare un esempio, lo Stato italiano ha versato l’anno scorso pensioni per un totale di 312 miliardi di euro. La voce che incide maggiormente sulle uscite è quella delle pensioni di anzianità/anticipate (il 56% del totale), seguita dalle pensioni di vecchiaia (il 18%) e dalle pensioni ai superstiti (14%). Un aumento dell’inflazione del 10% comporterebbe un aumento della spesa di circa 30 miliardi.

(Il grafico qui sopra è stato pubblicato dalla Banca centrale europea nel suo bollettino di gennaio 2022)

 

  • Beda Romano |

    PS: a completamento del mio ragionamento, proprio in questi giorni è emerso, sulla scia della presentazione del bilancio programmatico, che la spesa pensionistica in Italia aumenterà da 297 miliardi di euro nel 2022 a 320 miliardi di euro nel 2023. L’aumento è attribuibile soprattutto all’aumento dell’inflazione. BR

  • adviser |

    Presto arriverà qualcosa di nuovo

  • habsb |

    egr. dr. Romano
    il Suo ragionamento è molto difficile da seguire.
    Un sistema pensionistico per ripartizione è finanziato direttamente dai contributi dei lavoratori, è una percentuale dei salari che in tempo di inflazione devono naturalmente salire perche’ i lavoratori possano sussistere.
    Quindi non si vede assolutamente come i bilanci statali potrebbero essere minacciati dall’inflazione. Fra l’altro in tempo di inflazione gli introiti fiscali, anch’essi percentuali del consumo o dei redditi, gonfiano mentre il debito da rimborsare non si muove.
    Non è dunque un mistero che i governi europei vedano di buon occhio l’inflazione che hanno essi stessi provocato con la “helicopter money” distribuita col pretesto dell’influenza COVID
    E a chi teme recessioni a causa dei rialzi dei tassi, ricordo che in Germania si rimborsa al tasso di 1.25%, ossia un quarto che 20 anni fa.

    Le indicizzazioni delle pensioni, e gli aumenti salariali hanno invece un ben altro effetto nefasto, che è quello di stabilizzare l’inflazione. Se vi è inflazione, è perchè il pubblico ha denaro in eccesso da spendere. Quando l’ha speso, diamogliene altro ancora, cosicchè l’inflazione possa riprodursi senza fine. E’ questa la strategia dei politicanti, che avendo acceso la fiamma dell’inflazione, stanno bene attenti a non farla spegnere, fornendo il combustibile degli aumenti o indicizzazioni.

  • carl |

    La funzionaria della BCE Checherita-Westphal ha accennato a ciò che dovrebbe far paura ad un politico o dirigente pubblico degni di queste definizioni… Tuttavia, alla BCE (e alla FED) sanno altresì benissimo cosa invece può far paura al “mercato”, fino a pervaderlo di timor panico al posto di quella sua ricorrente “esuberanza”(Greenspan dixit).. E cioè l’assenza, tra la massa di consumatori abitual/dipendenti, di un corposo “potere d’acquisto”.. Ed ecco perchè non pochi analisti stanno pronosticando tempi di recessione che, ovviamente, comporterebbero un aumento della disoccupazione per via delle chiusure o sospensioni di attività dovute a mancanza o minor disponibilità di energia ed altro ancora..
    Insomma, un processo spiraliforme avente un’assai maggiore (seppur variabile da Paese a Paese.. Pardon, da mercato a mercato..) incidenza sul suddetto potere e relativa propensione agli acquisti, consumi, ecc. che non l’indicizzazione (totale o parziale) di salari e pensioni.
    Certo, e concludo, che i dilemmni sul “tappeto verde”(ma non ecologicamente)in essere e divenire sono di lana caprina anche se, volendo (cioè rinsavendo “chi di dovere” per tempo) potrebbero risolversi o, almeno, ridursi.. Ma anch’io devo chiudere, o auto-ridurmi che dir si voglia..

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