Crisi energetica – Il dilemma tedesco, tra autonomia nazionale e solidarietà europea

Le crisi europee si susseguono, e si rassomigliano solo in parte. Allunghiamo lo sguardo per un attimo: la guerra in Ucraina è in fondo la terza crisi, con conseguenze economiche, che colpisce la zona euro in poco più di un decennio. La prima fu lo sconquasso debitorio, la seconda fu la pandemia da Covid-19, la terza è rappresentata dal conflitto in Europa dell’Est. Oggi come ieri un ruolo chiave lo avrà la Germania. Come si comporterà questa volta Berlino?

In occasione della crisi debitoria, il paese tentennò. Solo quando si rese conto che l’uscita della Grecia dalla zona euro avrebbe messo a repentaglio il futuro della moneta unica (e delle banche tedesche) decise di agire. Accettò di salvare il paese, prestandogli denaro e promuovendo la nascita del Meccanismo europeo di Stabilità (MES). Il salvataggio fu lento e laborioso, probabilmente più costoso del necessario. Soprattutto la scelta fu di agire in modo confederale. Il ruolo centrale rimase nelle mani dei paesi membri.

La seconda crisi fu quella pandemica. In questo caso, a rischio era la tenuta del mercato unico e il futuro del principale fornitore industriale della Germania (vale a dire l’Italia). Il governo tedesco accettò l’impensabile, ossia dette mandato alla Commissione europea, insieme ai suoi partner, di raccogliere denaro sui mercati finanziari per aiutare le ventisette economie nazionali dell’Unione europea. Nacque così il NextGenerationEU da circa 800 miliardi di euro.

In cambio, naturalmente, la Repubblica Federale chiese un controllo occhiuto della Commissione e del Consiglio sul modo in cui i soldi verrebbero spesi e impose un limite all’ammontare del denaro distribuito sotto forma di sussidi, anziché di prestiti.

Veniamo ora alla terza crisi, legata questa volta alla guerra in Ucraina. Le sue ramificazioni sono numerose: militari, politiche ed economiche. Su quest’ultimo fronte, lo sguardo corre alla straordinaria dipendenza della Germania dal gas russo (oltre il 30% del totale del fabbisogno, secondo le ultime cifre del Bundesamt für Wirtschaft und Ausfuhrkontrolle).

È il futuro della stessa Repubblica Federale a essere in bilico: il suo modello economico è oggi drammaticamente in forse. Mentre prima in pericolo erano direttamente le prospettive della Grecia e dell’Italia, in questa occasione è la Germania stessa l’oggetto della crisi. Segnali indicano che il paese potrebbe optare per il volano europeo, tanto più se dall’oggi al domani la Russia dovesse interrompere almeno in parte le sue forniture di gas.

Nei giorni scorsi, la Germania e la Repubblica Ceca hanno firmato una dichiarazione comune nella quale si impegnano a forme di solidarietà reciproca per evitare che in uno dei due paesi venga a mancare gas. Nel contempo, il governo tedesco ha accettato nuovi impegni nello stoccaggio di carburante fossile (il regolamento è stato approvato definitivamente il 27 giugno scorso), e soprattutto ha approvato l’idea di consentire acquisti in comune di gas.

Al tempo stesso, la Germania è attraversata da curiose tendenze a perseguire una orgogliosa autosufficienza. All’indomani dell’unificazione, il paese non volle ricevere aiuti europei per i Länder orientali della ex DDR, convinto che potesse farcela da solo e convinto soprattutto che l’ordine europeo si basasse (e si basi) sulla dottrina della casa in ordine, nella quale l’equilibrio è garantito se ciascun paese fa quanto necessario per non creare scompensi a se stesso e agli altri.

In passato, Berlino è sembrata ritenere che soluzioni comuni fossero comunque soluzioni improprie, vuoi perché in contrasto con la dottrina della casa in ordine, vuoi perché potenzialmente causa di instabilità economica e finanziaria. Negli anni – lo abbiamo visto nelle crisi appena citate – il paese è stato costretto ammorbidire la propria posizione.

Mai come questa volta, tuttavia, la Germania sarà chiamata (o meglio, costretta) a scegliere tra autonomia nazionale e solidarietà europea. Forse sarà l’occasione in cui verrà finalmente chiarito il sospetto che serpeggia da anni e che spinge molti a ritenere che spesso la soluzione comune sia stata respinta dai tedeschi non tanto perché impropria quanto perché europea.

(La cartina pubblicata sopra, che è stata pubblicata dal sito della rete televisiva Al Jazeera, mostra i due gasdotti che nel Mar Baltico collegano la Russia alla Germania, il Nord Stream I e il Nord Stream II)

 

  • habsb |

    egr. dr. Romano

    come tutti posso sbagliarmi, ma mi pare che questa “crisi” sia molto differente da quelle del debito o dell’influenza Covid.
    Se quelle non richiesero che una distribuzione di fondi, sempre possibile grazie a una moneta stampabile a volontà, oggi la situazione è ben diversa.
    A mia conoscenza infatti non è ancora possibile stampare liberamente gas, petrolio, kerosene, gasolio, titanio, fertilizzanti e ogni altra materia prima che la UE ha deciso (senza consultare i Parlamenti) di non comprare più in Russia (come definire ancora democratica questa unione di nazioni ?).

    Sarà quindi interessante vedere quanto resisteranno gli industriali renani prima di imporre al governo tedesco (e alla UE) di tornare a pagare le commodities ai prezzi ragionevoli che solo la Russia è in grado di offrire.
    Nel frattempo la Russia profitta dell’aumento dei prezzi di tali commodities, vendendo alle altre potenze asiatiche. Ad esempio l’India ha esattamente decuplicato gli acquisti di petrolio russo : siccome la sua economia non è ancora decuplicata in termini di output, è da credere che molto di questo petrolio finisca per essere riesportato verso l’Europa, con buona pace di Scholz, Macron, von der Leyen e Borrell (ieri avrei aggiunto anche Draghi…)

  • carl |

    Se avessi delle responsabilità politiche, io sarei molto cauto, specie per quanto riguarda la concretezza delle forniture di gas e petrolio alternative a quelle russe e ciò nonostante l’ottimistico coretto di dichiarazioni istituzionali che continuano a declamare una pressocchè raggiunta (in 4 e quattrottro) indipendenza energetica dalla Russia.. Infatti i fornitori alternativi potrebbero rivelarsi tutt’altro che stabili ed affidabili. Inoltre alcuni di loro anche assai lontani, sia via mare che via pipelines.. Eppoi la Russia non è un Lichtenstein.. Nel senso che dispone di non pochi e pesanti mezzi, nonchè di una “longa manus”.. ed anche più di una. Per cui nell’ipotesi che finisse alle strette o in qualche strettoia, è assai probabile che non baderebbe ai mezzi per divincolarsene in un modo o in un altro.. Insomma viviamo tempi “interessanti” e le gatte da pelare non mancano, ivi compresa quella rappresentata dal riscaldmente ambientale con il quale è totalmente impossibile negoziare e che, malthusianamente, non farà “prigionieri”…

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