La crisi greca che da alcune settimane sta tenendo banco è una crisi economica e finanziaria, ma la chiave di lettura è soprattutto culturale. Da quando la zona euro è nata dieci anni fa, la Commissione europea da Bruxelles e la Banca centrale europea da Francoforte hanno esortato i paesi ad adattarsi alla regole stringenti di un’unione monetaria tra stati sovrani. Persa la politica monetaria, persa la politica valutaria, ai paesi membri è stato ricordato ripetutamente di rafforzare la loro competitività, agendo in primo luogo sui conti pubblici e sui salari. Le radici della tempesta greca sono economiche, un eccesso di debito, ma le ragioni più profonde toccano le stesse fondamenta della zona euro: è la crisi di un paese che non è riuscito in questi anni ad adeguarsi all’unione monetaria. A dieci anni dalla nascita della moneta unica, la divergenza nelle politiche economiche nazionali è enorme, e ai due estremi ci sono la Grecia e la Germania. Nell'ultimo decennio il governo tedesco ha tenuto sotto controllo bene o male i suoi conti pubblici; è riuscito a imporre ai suoi cittadini un calo a dir poco impopolare dei salari reali; addirittura ha reso costituzionalmente vincolante il risanamento del debito.
Sul fronte opposto c’è proprio la Grecia, oggi governata dal socialista George Papandreou (nella foto tratta da internet). Al di là della deriva del deficit – il disavanzo nel 2009 sarà del 13% – il governo greco ha assistito quasi impotente a un aumento dei costi unitari del lavoro del 40% tra il 2001 e il 2008 e non è riuscito a ridurre il peso di una funzione pubblica tradizionalmente invasiva. Secondo gli ultimi dati di Eurostat, i dipendenti statali sono l’8,3% degli occupati (esclusi i settori della sanità e dell’istruzione) rispetto al 6,2% dell’Italia e al 7,2% della Germania. La presenza nella costituzione greca di una norma (l’articolo 103) che garantisce prerogative giuridiche ed economiche alla funzione pubblica riflette bene le priorità del paese. Non basta: negli ultimi dieci anni la quota delle esportazioni in relazione al prodotto interno lordo è scesa – dal 9 al 7% – mentre in quasi tutti gli altri paesi, grazie all’integrazione economica provocata dall’euro, la percentuale è salita (in Italia al 24%). Ridurre la questione greca a una tempesta finanziaria o a una crisi di fiducia sarebbe sbagliato. La vicenda tocca le fondamenta stesse della zona euro, i suoi presupposti di politica economica, e mette in luce la fragilità dell'unione monetaria.