L’atteggiamento dell’establishment politico tedesco sul futuro dell’Europa è cambiato nelle ultime settimane, più propositivo, meno antagonistico di quanto non lo fosse in precedenza e di quanto non appaia leggendo i giornali. Non sto dicendo che la Germania sia pronta a salvare tutti i paesi in difficoltà, pagando per gli errori altrui; o che l’idea di un’obbligazione europea verrà fatta propria rapidamente dal cancelliere Angela Merkel; o che il paese abbia smesso all’improvviso di avere ambizioni da potenza globale. Mi sembra tuttavia che la crisi dell’euro abbia finalmente scosso la classe politica. Il segnale più evidente è giunto il 10 dicembre quando la signora Merkel ha incontrato a Friburgo il presidente francese Nicolas Sarkozy. In quella circostanza, per la prima volta, il cancelliere ha parlato della necessità di introdurre “maggiore coesione” tra le economie dei paesi membri. Francia e Germania vogliono lavorare insieme nel campo fiscale e del diritto del lavoro. Mancano molti dettagli, ma poco importa. Tralasciando le polemiche sulla scelta di chiedere agli investitori di sobbarcarsi i costi di un'eventuale ristrutturazione del debito nei paesi a rischio, la Germania si sta rendendo conto che uscire dalla crisi economica e finanziaria richiede una maggiore integrazione politica. Tra le altre cose, nel cambio di prospettiva, ha giocato la crescente paura del mondo imprenditoriale per gli effetti nefasti di un eventuale smembramento della zona euro. In un’intervista a Bild pubblicata il 16 dicembre, il cancelliere ha fatto un parallelo tra la salvezza dell’euro e l’unificazione tedesca, una scelta quest’ultima magari “dolorosa, ma mai messa in dubbio”. Dinanzi al Bundestag, il giorno prima, aveva affermato: “L’euro è il nostro destino comune. L’Europa è il nostro futuro comune”.
E’ vero che non passa settimana senza che un sondaggio riveli la nostalgia per il marco. E’ un bel tema giornalistico, ma non mi convince. Non solo la memoria del miracolo economico è lontana , ma la stessa Germania ha un atteggiamento contrastante nei confronti dell’ex moneta tedesca. E’ stata strumentale nel fare del paese una grande potenza economica, ma ha anche creato con il cambio uno-a-uno in occasione dell’unificazione angoscianti differenze economiche tra le due Germanie. In poche parole, l’euro è molto più la valuta di tutti i tedeschi di quanto non lo sia stato il Deutschemark tra il 1990 e il 2000. E’ vero inoltre che Berlino ha respinto l’idea di un’obbligazione europea, emessa in comune da tutti i paesi della zona euro, ma il governo ha due paure comprensibili: teme da un lato un aumento dei costi di rifinanziamento per la Germania e dall’altro non vuole che questi titoli diventino una giustificazione perché i paesi meno virtuosi evitino il risanamento dei conti pubblici. Più in generale la signora Merkel considera l’eurobbligazione in contrasto con i Trattati attuali, che prevedono bilanci nazionali. Possiamo, per questo motivo, considerare la Germania visceralmente anti-europea? Non credo. Dopotutto penso che il governo e il paese siano pronti a maggiore integrazione purché – ed è l'aspetto cruciale – venga fatta seriamente, rispettando tra le altre cose i canoni della cultura della stabilità. In fondo, temo per molti versi che il vero interrogativo sia il seguente: sono pronti gli altri paesi ad accettare un’Europa tedesca, più che una Germania europea?
(Nella foto, Angela Merkel colta durante il vertice europeo a Bruxelles del 16-17 dicembre 2010)