Tra qualche giorno, la Commissione europea presenterà un atteso progetto di direttiva che introdurrà in Europa un formulario unico per la dichiarazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) da parte delle società. L'obiettivo è di facilitare l'impegno amministrativo delle imprese che fanno affari in più paesi dell'Unione, e che regolarmente devono dichiarare al fisco nazionale l'IVA raccolta sulla vendita di beni e servizi prima di riversarla alle casse dello stato. Insieme al testo della direttiva, l'esecutivo comunitario pubblicherà una interessante tabella nella quale mette a confronto l'attuale situazione nei 28 paesi della UE. Le scoperte sono più deprimenti che sorprendenti. Ogni paese ha dichiarazioni diverse. C'è chi ha scelto dichiarazioni mensili; e chi trimestrali. C'è chi ha deciso di fare differenze nella taglia della società, facilitando la vita alle imprese più piccole; e chi invece ha preferito considerare tutte le aziende allo stesso modo. In ultima analisi, c'è chi ha scelto la semplicità; e chi la complessità. In Irlanda, un paese che ha fatto del fisco una arma economica, il formulario va riempito sei volte all'anno e contiene appena sei voci. In Francia, l'obbligo della dichiarazione è mensile, e le voci sono 43. Anche in Germania l'impegno è mensile, ma le voci salgono a 45. Completamente fuori classifica è l'Italia. L'obbligo della dichiarazione è annuale, e le voci sono 586.
Nella tabella messa a punto dalla Commissione, gli esperti europei hanno dovuto fare una media delle voci escludendo l'Italia, tanto il caso italiano era diverso da quelli degli altri 27 paesi dell'Unione. Neppure la tanto criticata e beffata Grecia è in una situazione simile. Nella dichiarazione greca (mensile), le voci sono 54; salgono a 254 in un formulario annuale che riassume l'intera raccolta dell'IVA da parte della singola società. In media, escludendo l'Italia, le dichiarazioni IVA europee hanno 39 voci. Quelle riassuntive su base annua, quando esistono, ne hanno 57. La situazione italiana non sorprende. La moltiplicazione delle regole burocratiche e delle angherie amministrative è anche il riflesso di un paese dove il raggiro nei confronti del pubblico (e del privato) è un radicato automatismo sociale. Le conseguenze sono molte, al di là dell'enorme perdita di tempo per chi decidesse di essere un contribuente onesto. Prima di tutto aumenta il rischio di frode. Secondo un recente rapporto dell'esecutivo comunitario, l'Italia è il paese dell'Unione che più ha registrato mancati versamenti dell'IVA. La
Commissione europea sostiene che nel 2011 il divario tra entrate stimate ed
entrate effettive è stato pari a 36,1 miliardi di euro. In secondo luogo, disincentiva gli investimenti dall'estero. Il fisco italiano ha certamente ridotto il numero di dichiarazioni che riceve – appena 5,132 milioni all'anno (rispetto ai 24,087 milioni in Francia), ma con risultati discutibili. Nel progetto di direttiva che la Commissione presenterà mercoledì 23 ottobre il commissario al Fisco Algirdas Semeta proporrà un formulario unico a livello europeo con 26 voci. Non sappiamo se la semplificazione sarà efficace, ma forse i molti in Italia che criticano Bruxelles per l'iperregolamentazione potrebbero in questa circostanza esserle grata.
(Nella foto, Maurice Lauré – nato nel 1917, morto nel 2001 – funzionario del ministero delle Finanze francese che nel 1954 ideò la taxe sur la valeur ajoutée, l'IVA, poi adottata da moltissimi paesi nel mondo)
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