Voto UE – I partiti alla battaglia della Commissione – 05/11/13

BRUXELLES – Martin Schulz, il socialdemocratico tedesco alla guida del Parlamento europeo, non nasconde le sue ambizioni. Sarà lui, salvo sorprese, il candidato alla presidenza della Commissione del gruppo parlamentare socialista al prossimo voto europeo. L'obiettivo, oltre che personale, è anche istituzionale: sensibilizzare gli elettori al rinnovo dell'assemblea di Strasburgo, offrendo candidature chiare alla guida dell'esecutivo comunitario. Il rischio, tuttavia, è di assistere a uno scontro tra le istituzioni.


La scelta del gruppo parlamentare socialista si basa su una particolare
interpretazione dell'articolo 17 del Trattato di Lisbona, che verrà
utilizzato per la prima volta in occasione del voto europeo del maggio
2014. Il presidente della Commissione è eletto dall'assemblea di
Strasburgo sulla base di una proposta presentata dal Consiglio europeo,
«tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo». Molti deputati
considerano che questa ultima precisazione impone ai Governi di proporre
quale presidente della Commissione il leader del partito vincitore.
Non tutti sono d'accordo. Qualche giorno fa, il cancelliere tedesco
Angela Merkel ha spiegato che dal suo punto di vista, «non c'è alcun
automatismo» tra la vittoria di un partito e la proposta del Consiglio
europeo. Non c'è dubbio che i Governi vogliano mantenere la guida del
processo di nomina del presidente della Commissione.
Spiega un esponente del Consiglio europeo: «Nello spirito del Trattato,
il compito di guida nella nomina del presidente della Commissione spetta
ai Governi. Se un candidato proposto dal Consiglio non riceve la
maggioranza dei voti al Parlamento, allora bisogna trovare un altro
nome. È evidente che la nomina richiede l'accordo dell'assemblea di
Strasburgo, ma l'impressione preoccupante è che oggi molti vogliano
invertire l'iter di designazione col rischio di provocare uno scontro
tra le istituzioni, e una pericolosa situazione di stallo».
L'eurodeputata liberale francese Sylvie Goulard si vuole realista: «Da
un lato, l'idea di avvicinare il voto europeo ai cittadini, presentando
esplicite candidature alla guida della Commissione è utile, anche per
rispondere alle pressioni populistiche. Dall'altro, i Governi vorrebbero
nominare uno dei loro ma è difficile immaginare che oggi un primo
ministro in carica abbandoni il suo lavoro per fare campagna elettorale.
Bisogna trovare un accordo tra interpretazioni estreme dei Trattati.
Ciò detto, gli Stati membri commetterebbero un errore se facessero
sbarramento».
La scelta dei socialisti e di Schulz ha indotto gli altri gruppi
parlamentari a fare altrettanto. I liberali terranno un atteso congresso
a Londra alla fine di novembre. Alcune personalità sono già uscite allo
scoperto, tra queste Olli Rehn, il commissario finlandese agli affari
economici, e Guy Verhofstadt, l'ex primo ministro belga. Dal canto loro,
orfani di Daniel Cohn-Bendit che ha deciso di ritirarsi dalla vita
politica, i verdi hanno organizzato primarie su Internet. Nella corsa,
il francese José Bové si è associato alla tedesca Rebecca Harms.
Incerta ancora è la posizione dei popolari. Il commissario francese al
mercato interno Michel Barnier o quello lussemburghese alla giustizia
Viviane Reding sono interessati, ma la strada è tortuosa, se non
accidentata. Per il momento, il gruppo popolare sta discutendo il metodo
da seguire. «La partita sarà chiara solo in gennaio – dice un esponente
comunitario – certo, non partecipare alla corsa con un proprio leader è
difficile vista la posizione assunta dagli altri gruppi».
La nomina del presidente dell'Esecutivo provoca il timore che Consiglio e
Parlamento mostrino maggioranze diverse. Da un lato, politicizzare
l'iter di nomina del presidente della Commissione potrebbe rafforzare la
legittimità di un'istituzione infragilita. Dall'altro, c'è il rischio
che perda l'immagine – a dire il vero sempre più spenta – di un
organismo votato all'interesse generale. Il voto europeo è ancora
lontano, ma la partita lascia prevedere trattative lunghe, segnate anche
dal probabile buon risultato dei movimenti euroscettici al momento
delle elezioni. B.R.