Chi scrive è stato inviato a L’Aja nei giorni scorsi per seguire il vertice annuale della Nato. A dispetto delle dichiarazioni di principio e dell’accordo sull’aumento della spesa militare, l’Alleanza atlantica è attraversata da gravissime tensioni.
Ormai l’intesa dei membri europei dell’organizzazione militare con gli Stati Uniti è andata drammaticamente sfilacciandosi. Due momenti in particolare fanno riflettere, e danno all’odierno rapporto tra Europa e Stati Uniti una chiave anche culturale che potrebbe essere utile per capire il proseguo del confronto transatlantico, tra le altre cose sul commercio.
Il primo momento è relativo al segretario generale della Nato, un ex primo ministro olandese di 58 anni. Prima dell’inizio del vertice Mark Rutte ha inviato al presidente Donald Trump un messaggio impregnato di lusinghe e adulazioni, congratulandolo per avere bombardato l’Iran e avere convinto gli europei ad aumentare la spesa militare.
Il messaggio era privato, ma il destinatario ha deciso di pubblicarlo d’emblée su una rete sociale, Truth Social. Sempre il segretario generale in una conferenza stampa con il presidente americano ha lasciato intendere che Donald Trump è “il papà” (daddy in inglese) e che i paesi europei sono i suoi figli: “Ci sono momenti – ha detto Mark Rutte – in cui Daddy deve far sentire la sua voce”.

A chi gli ha chiesto successivamente se si sentisse il padre di Mark Rutte, Donald Trump ha risposto, sorridendo, con una battuta che ha strappato le risate di alcuni dei presenti: “Gli piaccio. Credo di piacergli. Se non gli piaccio, glielo farò sapere. Tornerò in Europa e lo picchierò duramente!”.
Il segretario generale della Nato è prescelto dagli Stati Uniti e risponde a Washington, prima di tutto. Un diplomatico olandese mi ha spiegato che Mark Rutte è “un manager”, “totalmente privo di ego”. I suoi compiti erano “di assicurare la permanenza degli Stati Uniti in Europa e di strappare un aumento della spesa. Tutti gli strumenti sono buoni, e lui ha raggiunto gli obiettivi”.
Sono passati i tempi nei quali Talleyrand considerava che “il miglior alleato di un diplomatico è il suo cuoco”. Il ministro degli Esteri di Napoleone preferiva blandire l’invitato con pietanze saporite, piuttosto che umiliarsi con parole elogiative.
L’altro momento che mi ha fatto riflettere durante il vertice della Nato è stato la conferenza stampa finale del presidente Trump. Al di là del contenuto, mi ha colpito la messa in scena. Il presidente era circondato dal segretario alla Difesa, Pete Hegseth, e dal segretario di Stato Marco Rubio.
Entrambi si tenevano impettiti, senza grazia, dietro al presidente. Il primo con le braccia penzolanti in un vestito troppo stretto per muscoli troppo evidenti. Il secondo più discreto, aveva le braccia conserte, e la taglia minuta. Entrambi sembravano guardie del corpo più che dirigenti politici. Entrambi hanno avuto modo di esprimersi, ma sempre cercando, preoccupati, l’approvazione di Donald Trump con la coda dell’occhio.
Al netto delle differenze di personalità, spiccano anche differenze di cultura. In Mark Rutte c’è l’istinto europeo alla sopravvivenza, segnato dalla filosofia millenaria di Tucidide e di Macchiavelli. In Donald Trump prevalgono le regole d’ingaggio del pioniere nel Far West: dente per dente, occhio per occhio.
Ha commentato su LinkedIn Ian Bremmer, presidente di Euroasia Group, la società di consulenza: “Donald Trump non rispetta le persone che si comportano in modo ossequioso come Mark Rutte. L’approccio di deferenza, ma comunque di difesa dei propri interessi, scelto da Claudia Scheinbaum e da Mark Carney è più efficace”.
Chi avrà la meglio: lo scacchista europeo o il pugile americano?