Da Pierre Loti (1850-1923) una lezione di lucidità nei rapporti dell’Europa con la Turchia

Vi sono biografie di scrittori che incredibilmente hanno radici nell’attualità. Quella di Julien Viaud, alias Pierre Loti, scritta da Lesley Blanch e appena pubblicata in Italia dalla casa editrice Medhelan è tra queste (Pierre Loti – Ritratto di un fuggitivo, 467 pagine, 30 euro). Nel nostro caso il legame con l’attualità ha a che fare in particolare con i rapporti tra l’Europa e la Turchia.

Julien Viaud nacque a Rochefort, non lontano da La Rochelle, nel 1850, in una famiglia di religione protestante. La Francia di allora era tra i paesi più ricchi del pianeta, ed estendeva il suo potere attraverso il mondo, controllando possedimenti coloniali in Asia e in Africa.

L’ufficiale scrittore

Forse anche per questo motivo egli decise di arruolarsi in marina. L’uomo trascorse sui mari 42 anni, 32 mesi e 13 giorni, prima di ritirarsi nel 1910. Dai bastimenti della marina militare francese inviò ai giornali dell’epoca centinaia di reportage sui luoghi più lontani ed esotici. Così Julien Viaud si trasformò in Pierre Loti.

“Il timore e l’eccitazione per paesi sconosciuti verso i quali correre e fuggire…”, scrisse un giorno, nel descrivere il suo stato d’animo. Nel corso della sua vita sui mari, Pierre Loti visitò i posti più reconditi del pianeta nelle Americhe, nel vicino e nell’estremo Oriente, in Africa e nel Maghreb.

I suoi articoli per L’Illustration, Le Monde illustré o Le Figaro ebbero un ruolo significativo nell’intrattenere, nell’informare, forse anche nell’istruire la pubblica opinione francese della belle époque. Non per altro divenne accademico di Francia e quando morì nel 1923 il governo francese gli concesse i funerali di Stato.

Nella sua biografia, uscita in Gran Bretagna nel 1983, Lesley Blanch analizza le complessità psicologiche di Pierre Loti, il difficile rapporto con le sue origini provinciali (“Sono sempre un disadattato che recita una commedia”, ammise in uno scritto), ma anche il suo  spirito avventuriero e il suo amore per l’esotico.

Soprattutto interessante è stato lo stretto rapporto che lo scrittore-marinaio coltivò con la Turchia, un paese che imparò a conoscere non solo da ufficiale di marina, ma anche da attaché navale presso l’ambasciata di Francia a Istanbul nel primo decennio del Novecento.

Ursula von der Leyen, Charles Michel e Recep Tayyip Erdoğan. Copyright: EU

Pierre Loti era attirato dalla straordinaria unione tra oriente e di occidente, dalla sofisticata vita di corte del sultano nel palazzo di Topkapı, da un paese che come pochi altri tenta di associare tradizione e modernità, religione e laicismo, Est e Ovest. La sua era una visione culturale, sociale, e storica.

Proprio in quel periodo, le potenze occidentali volevano rintuzzare la storica presenza ottomana nei Balcani. “Le grandi potenze – osserva Lesley Blanch – avevano sempre guardato alla Turchia come a una pedina da manovrare a seconda del vantaggio di qualche alleato”.

A fianco della Turchia

In un volume pubblicato alla vigilia della Grande Guerra (La Turquie agonisante), Pierre Loti si schierò a fianco della Turchia e criticò l’obiettivo delle potenze occidentali di smantellare l’impero ottomano. A sorpresa in questo caso prevalse l’opinione politica più che l’interpretazione culturale.

Scrive la sua biografa a proposito del volume del 1913: “Davanti alla particolarità ostilità della Francia nei riguardi della Turchia, Pierre Loti prevedeva non soltanto un maggiore declino di quell’impero, ma anche quello degli interessi francesi nelle precedenti sfere di influenza nel vicino e medio oriente”.

La previsione non solo si rivelò azzeccata, ma suona incredibilmente attuale. Come non ammettere che la scelta dell’Unione europea di chiudere nei fatti le sue porte alla Turchia abbia contribuito a una deriva nazionalista ad Ankara, dopo che per decenni il paese aveva abbracciato l’Occidente, tra le altre cose abbandonando l’alfabeto arabo, rinunciando al fez e al velo, garantendo il diritto di voto alle donne, imponendo il giorno festivo settimanale non più il venerdì, ma la domenica, e facendo propri il codice civile svizzero, il codice penale italiano, il codice commerciale tedesco?

Facevano e fanno paura ad alcuni paesi membri la religione musulmana e il peso demografico. Da ex impero la Turchia vede nell’atteggiamento europeo di chiusura un comportamento sprezzante. La sua politica estera è diventata più assertiva e nazionalista, il suo islamismo è ormai più visibile e meno tollerante, mentre è evidente una frenata nella modernizzazione del paese. In ultima analisi, sul suo fianco meridionale, l’Europa si è alienata, almeno in parte, un partner cruciale nella regione.

Ankara alienata

Il numero di diverbi è elevato. Non solo la posizione turca sulla divisione di Cipro si è fatta più rigida e aggressiva. Non solo Ankara rivendica nuove frontiere con la Grecia. È proprio di queste settimane una diatriba con Parigi a proposito delle scuole francesi in Turchia. Ankara chiede un trattamento di reciprocità per le scuole turche in Francia, e ha deciso a metà agosto di vietare l’iscrizione di nuovi studenti turchi nei licei francesi situati sul proprio territorio.

Qui a Bruxelles circola voce che il nuovo commissario al Mediterraneo potrebbe essere chiamato anche ad occuparsi di Turchia, togliendo il monopolio del dossier al commissario per l’allargamento, e ridimensionando ulteriormente i negoziati di adesione, da tempo su un binario morto.

Sarebbe un nuovo sgarbo nei confronti di un paese orgoglioso, ambizioso, politicamente influente, militarmente potente ed economicamente importante. Un paese la cui Storia secolare è anche, se non soprattutto europea.

Peraltro, Ankara sta negoziando con la Commissione europea una revisione dell’accordo doganale entrato in vigore con la UE nel 1966. Secondo le informazioni raccolte a Bruxelles e ad Ankara le trattative stanno andando a rilento, anche per via della controversia relativa a Cipro. Peccato, perché la diplomazia turca è ben consapevole della necessità di coltivare la sua sponda europea per controbilanciare il suo recente avvicinamento a Mosca e a Pechino.

(In una foto del 2021 il presidente Erdoğan con i maggiori rappresentanti dell’Unione europea in un incontro ad Ankara. La scelta di relegare la signora von der Leyen su un divano ha provocato accese critiche sia nei confronti del presidente turco che contro il presidente del Consiglio europeo). 

  • habsb |

    Per chi vede nell’antico Impero Romano la prima definizione dell’idea di Europa, la Turchia ne sarebbe certo parte integrante. Ma purtroppo l’Europa attuale é dominata da popoli che vedono l’Europa come una reincarnazione dell’effimero impero di Carlo Magno con sede a Aix la Chapelle. Non per niente tutti i centri di potere europei, da l’Aia a Bruxelles a Strasburgo a Francoforte sono tutti situati attorno a Aix la Chapelle e Maastricht.
    Per questi popoli germanici, greci e italiani sono già ospiti più o meno graditi, allora figuriamoci i turchi.
    Viene cosi’ lasciata fuori una nazione di 80milioni di abitanti, media potenza industriale, scientifica e militare che non puo’ che rivolgersi altrove, al mondo islamico e ai Brics, per non trovarsi isolata.
    Si preferisce guardare alla più piccola Ucraina, che non ha mai avuto nulla in comune con l’Europa, ma la cui integrazione offrirebbe alla Germania una piccola rivincita della batosta subita dai russi nel 1943.

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