Gli incidenti di comunicazione possono capitare a tutti. Spesso sono sintomo di disorganizzazione. In altri casi riflettono dubbi e imbarazzi. La Commissione europea è stata al centro di un notevole disordine comunicativo ieri pomeriggio. Oggetto dell’incidente: gli aiuti comunitari ai palestinesi.
Nel pomeriggio, il commissario responsabile dei rapporti con il vicinato, l’ungherese Oliver Várhelyi, ha annunciato su X (l’ex Twitter) che Bruxelles avrebbe sospeso tutti i pagamenti legati agli aiuti allo sviluppo. In totale 691 milioni di euro.
Le proteste di alcuni paesi membri non sono tardate. Prima l’Irlanda, poi il Lussemburgo, poi ancora il Belgio. Non erano d’accordo né con la forma né con la sostanza della decisione.
Qualche ora dopo, il commissario responsabile della reazione europea agli stati di crisi, lo sloveno Janez Lenarčič, ha smentito in parte il suo collega ungherese, rassicurando che gli aiuti umanitari continueranno comunque ad essere versati.
Passane le ore. Aumentano i dubbi. Finalmente la Commissione europea pubblica un comunicato in cui spiega che il sostegno comunitario ai palestinesi è oggetto di ampia revisione. Ma precisa che “non essendo previsti pagamenti, non ci sarà alcuna sospensione dei pagamenti” e che comunque gli aiuti umanitari non sono coinvolti dalla decisione.
Infine, in serata interviene anche l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, lo spagnolo Josep Borrell: “La revisione dell’assistenza dell’Unione Europea alla Palestina annunciata dalla Commissione europea non sospenderà i pagamenti dovuti (…) La sospensione dei pagamenti – punendo tutto il popolo palestinese – avrebbe danneggiato gli interessi della UE nella regione e avrebbe solo rafforzato ulteriormente i terroristi”.
L’incidente rivela probabilmente le difficoltà dell’establishment comunitario a gestire la crisi in Medio Oriente, oltre che profonde divisioni ideologiche nel collegio dei commissari a pochi mesi dalle prossime elezioni europee. Nel fine settimana, anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel era stato ambiguo. L’uomo politico aveva condannato “la violenza terroristica”, esortando alla “cessazione delle ostilità” ma nel contempo affermando “il diritto di Israele alla legittima difesa”.
La situazione non è facile. Da un lato, molti esponenti dell’establishment europeo hanno criticato negli anni scorsi le politiche estremiste del primo ministro Benjamin Netanyahu (come d’altronde anche il presidente americano Joe Biden). Dall’altro, non possono certo approvare oggi le atrocità compiute da Hamas. Di qui le difficoltà a decidere se e come sospendere gli aiuti ai palestinesi?
Probabilmente alcuni dirigenti europei condividono in cuor loro le parole dell’ex diplomatico israeliano Elie Barnavi che in un commento su Le Monde attribuisce il conflitto di oggi a “un’organizzazione islamista fanatica il cui obiettivo dichiarato è la distruzione di Israele; e a una politica israeliana imbecille a cui i più recenti governi si sono aggrappati, e che l’ultimo di questi ha portato al culmine”.
Secondo l’ex ambasciatore israeliano a Parigi, il primo ministro israeliano ha concluso un patto faustiano con gli ebrei ultra-ortodossi. Pur di salvare la pelle nelle varie indagini che lo concernono, ha ottenuto il loro via libera per riformare il sistema giudiziario in senso illiberale, mentre in cambio concedeva ai suoi alleati nuovi poteri, offrendo ad Hamas nuove giustificazioni per le violenze di questo fine settimana.
(Nella foto il commissario Oliver Várhelyi, 51 anni, durante una audizione in Parlamento)