Patto e Riforme – Da Parigi e Berlino i segnali indiretti al governo Meloni

Dopo essersi occupato di nomine politiche, situazione migratoria e diritti civili, il governo Meloni dovrà presto affrontare il principale nodo di qualsiasi governo italiano da 15 anni a questa parte: la politica economica. Il paese – vale la pena ricordarlo? – sta facendo i conti con un debito pubblico di oltre il 140% del PIL, una evasione fiscale di circa 100 miliardi all’anno, e una grave crisi demografica, dettata dall’emigrazione di molti giovani oltre che dall’invecchiamento della popolazione.

Sul tavolo non ci sono solo le serie difficoltà nel mettere in musica il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il paese dovrà anche tenere conto dei recenti segnali provenienti da Parigi e Berlino.

Partiamo dalla Francia. La stampa italiana ha guardato al dibattito degli ultimi mesi in modo spesso impressionistico, concentrandosi sulle manifestazioni contro la riforma pensionistica. Certo, le dimostrazioni sono state violenti e gli scioperi numerosi. La stessa popolarità del presidente Emmanuel Macron è ai minimi. Nel frattempo, però, il governo Borne è riuscito a far approvare una riforma che dovrebbe da qui al 2030 generare nuove entrate per circa 18 miliardi di euro.

La seconda più grande economia della zona euro è riuscita a mettere a segno una importante misura strutturale, che sposterà l’età della pensione da 62 a 64 anni. Immaginiamo per un attimo che il presidente Macron non fosse riuscito nel suo intento. Altri dirigenti europei avrebbero potuto cogliere l’occasione per desistere dal modernizzare la loro economia. Così non è stato. Il messaggio al resto dell’Europa è che riformare le economie nazionali rimane una priorità.

Passiamo ora all’annosa riforma del Patto di Stabilità e di Crescita. Sappiamo che il desiderio della Commissione europea è di creare percorsi nazionali di riduzione del debito pubblico che, oltre a garantire un calo dell’indebitamento, incentivino riforme e investimenti. Tra breve, Bruxelles presenterà proposte legislative che andranno discusse dal Consiglio e dal Parlamento. La posizione tedesca non appare particolarmente accomodante.

In un documento inviato ai partner in vista delle prossime discussioni, il governo federale si dice favorevole a che il parametro da seguire nel ridurre il debito sia la spesa pubblica, “con obiettivi quantitativi minimi per garantire un deficit sufficientemente in calo o per mantenere i deficit a livelli prudenti”. Secondo Berlino l’ammontare annuo di riduzione dell’indebitamento deve essere funzione del livello del debito.

Si legge nel documento tedesco: “Come soglia minima, si potrebbe per esempio prevedere che il rapporto debito/PIL debba diminuire di almeno 1 punto percentuale all’anno per gli Stati membri con un rapporto debito/PIL elevato (come l’Italia, ndr) e di almeno 0,5 punti percentuali all’anno per gli Stati membri con un rapporto debito/PIL medio, superiore al 60%”.

Restrittive sono poi le posizioni di Berlino per quanto riguarda i cosiddetti “fattori rilevanti”, circostanze eccezionali che permettono a un dato paese di alleggerire l’impegno di risanamento dei conti. “In conformità con le regole esistenti, per gli Stati membri con un rapporto debito/PIL superiore al 60% i fattori rilevanti dovrebbero essere presi in conto solo se il deficit rimane vicino al valore di riferimento e se il superamento del valore di riferimento è solo temporaneo”.

Infine, “la durata del periodo di aggiustamento dovrebbe essere limitata a un ciclo elettorale regolare per consentire al processo democratico negli Stati membri di definire le proprie politiche economiche”.

Interessante la posizione assunta dalla Francia in questo frangente. Parigi sa che l’influenza politica del paese è funzione anche del suo livello di debito. Parlando qualche settimana fa ad alcuni giornalisti bruxellesi, il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha spiegato perentoriamente: “Insieme al presidente Macron e alla premier Borne, siamo determinati a ridurre il debito a partire dal 2026 e a portare il deficit pubblico sotto il 3% nel 2027”. Nel 2022, il disavanzo francese è stato del 4,7% del PIL, mentre il debito era intorno al 112% del PIL.

“Passeremo al setaccio tutta la spesa pubblica con un pettine fine: Stato, enti locali, settore sociale. Questo è lo scopo della revisione della spesa che intraprenderemo nei prossimi giorni sotto l’autorità del primo ministro”, ha aggiunto il ministro Le Maire.

Insomma, in questo frangente, il governo Meloni deve sapere che la Francia è solo una mezza alleata in campo economico e che la Germania venderà cara la pelle. Inoltre, è bene ricordare che in assenza di un accordo su una riforma del Patto di Stabilità torneranno in vigore le regole che sono state sospese al momento dello scoppio della pandemia nel 2020.

(Nella foto AFP tratta da internet, la premier francese Elisabeth Borne, 61 anni, mentre parla all’Assemblea Nazionale durante il dibattito sulla controversa riforma pensionistica approvata nelle scorse settimane)