Prime lezioni europee dalla guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina induce a molte riflessioni sull’Unione europea. Due in particolare. La prima riguarda l’apparente ingenuità con cui abbiamo assistito in questi mesi alla mobilitazione dell’esercito russo alla frontiera con il paese. Mentre ucraini e americani, baltici e polacchi avvertivano di un attacco imminente, diplomatici e politici a Bruxelles e in molte capitali europee si volevano più ottimisti.

Ogni qualvolta Vladimir Putin appariva fare un passo indietro, tiravamo un sospiro di sollievo, e vedevamo nelle sue scelte più benevoli la conferma che una guerra non era all’orizzonte. In cuor nostro, pensavamo che Washington fosse guerrafondaia e che Kiev avesse preoccupazioni esagerate. I servizi segreti americani ed europei avevano le stesse informazioni sul dispiegamento russo al confine ucraino. Fino a qualche giorno fa, la divergenza riguardava l’interpretazione da dare a questa mobilitazione.

838_orbanA cosa attribuire questa apparente ingenuità? Forse semplicemente al successo dell’Unione europea. Mi spiego meglio. È dal 1945 che nell’Europa comunitaria non si combatte una guerra. La costruzione europea ha assicurato 80 anni di pace e stabilità. Ha dato ai paesi membri obiettivi condivisi, interessi partecipati e una prosperità in comune. Le controversie si risolvono nelle aule di Lussemburgo, non sui campi di battaglia.

L’antico confronto militare è stato sostituito dalla trattativa diplomatica e dalle discussioni ministeriali, le armi dai regolamenti e le direttive. Il concetto di nazionalità si è affievolito; le frontiere sono sparite; la collaborazione è ormai una seconda natura. La stessa uscita della Gran Bretagna ha fatto riemergere improvvisamente confini che erano stati dimenticati, in Irlanda o nel Mare del Nord.

So che le tensioni politiche tra i Ventisette non mancano e che in molti paesi l’europeismo delle città non è quello delle campagne, ma il rapporto è civile, il clima urbano. Nello stesso modo in cui nel primo decennio del Novecento, francesi e tedeschi avevano dimenticato la guerra del 1870, oggi quanti sono coloro che hanno ancora un ricordo personale della Seconda guerra mondiale?

Forse dopotutto la tanto bistrattata Unione europea ha pregi che andrebbero riconosciuti nel dibattito pubblico, anziché essere ignorati da politici con pochi scrupoli e da una stampa opportunistica. La lezione da trarre è doppia: l’Unione ha garantito la pace, e il mondo è pericoloso. I motivi per rafforzare ulteriormente le fondamenta della costruzione comunitaria non mancano.

La seconda considerazione riguarda la coesione tra i Ventisette nel gestire questa crisi. Naturalmente so che mettersi d’accordo sulle sanzioni da adottare contro Mosca non è facile. Alcuni paesi vogliono agire con radicalità. Altri vorrebbero mantenere aperto il canale del dialogo, e chiedono gradualità. Alcuni paesi vogliono preservare interessi economici. Altri non avendo interessi particolari credono nella mano pesante.

Eppure, mi sembra di percepire una sorprendente unità, anche tra i paesi più dubbiosi sul futuro della costruzione comunitaria e che ancora oggi flirtano con lo stato di diritto. L’Ungheria di Viktor Orbán, tanto per fare un esempio, è tradizionalmente vicina al Presidente Putin. Eppure, si è allineata ai suoi partner, e ha deciso di perseguire la strada delle sanzioni.

In un mondo diventato più incerto, più instabile e più aggressivo, l’Unione europea si sta rivelando un porto sicuro, anche per coloro che esprimono sentimenti contrastanti quando si tratta di discutere con Bruxelles. D’altro canto, mettiamoci nei panni dell’Ungheria (che con l’Ucraina condivide un confine). Oggi dopotutto l’Unione europea le garantisce sovranità e indipendenza là dove l’aggressione militare russa in Ucraina mette entrambe drammaticamente a rischio.

(Nella foto d’archivio, un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il premier ungherese Viktor Orbán)

 

  • Lucia |

    “oggi quanti sono coloro che hanno ancora un ricordo personale della Seconda guerra mondiale?”…. : io ne ho un ricordo per averne vissuto coscientemente, da bambina, la drammatica conclusione e molto più coscientemente le conseguenze dirette avvenute in Europa negli anni seguenti. Ho vissuto il terrore della guerra atomica sempre presente quale pericolo imminente, minacciata in egual misura dal blocco USA + Stati dell’Europa e dall’URSS, gli strascichi conseguenti al trattato di Yalta (Crimea) che portarono alla divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti.
    Ricordo anche le condizioni di distruzione e povertà in cui l’Italia si ritrovò dopo il Ventennio Fascista e dopo la guerra e il grande impulso verso la democrazia e la libertà che spinse gli Italiani a scegliere la Repubblica nella speranza di rinnovamento e di ricostruzione della vita economica, sociale e civile.
    Di tutta questa vita vissuta quasi niente è stato tramandato alle generazioni successive e soprattutto a quelle giovani attuali che si limitano a sentir parlare (alle volte a sproposito) della Resistenza paragonata al Risorgimento ottocentesco.
    Credo che il popolo italiano attuale (generazioni post-belliche) abbia perso una occasione: quella di conoscere le proprie origini storiche e soprattutto di rendersi conto che non esistono più stati nazionali ma che dovrebbe essere popolo europeo, cittadini dell’Europa.

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