Italia-Europa, la prima crisi post-Covid provoca ansia da integrazione

Le crisi politiche italiane si susseguono, ma non necessariamente si rassomigliano. Soprattutto la reazione europea non è sempre la stessa. In passato, la grande preoccupazione dei partner europei era legata all’enorme debito pubblico italiano, ai rischi di instabilità finanziaria, e alle possibili conseguenze per l’intera zona euro. Così fu nel 2011 quando Francia e Germania, nei fatti, indussero a un cambio di governo a Roma, e l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Monti in sostituzione di Silvio Berlusconi.

Oggi la situazione è in parte diversa. Con la nascita del Fondo per la Ripresa, il processo di integrazione ha fatto un notevole passo in avanti. I Ventisette hanno dato mandato alla Commissione europea di raccogliere sul mercato a nome loro denaro per un totale di 750 miliardi di euro. Di questi, dovrebbero andare all’Italia 69 miliardi sotto forma di sussidi e fino a 122 miliardi sotto forma di prestiti. Da confederazione, l’Unione europea sta diventando (lentamente) federazione. Le responsabilità dei singoli paesi membri nei confronti dei propri partner hanno fatto un evidente salto di qualità.

German Chancellor Angela Merkel gestures next to France's President Emmanuel Macron, Sweden's Prime Minister Stefan Lofven and Finland's Prime Minister Sanna Marin during the first face-to-face EU summit since the coronavirus disease (COVID-19) outbreak, in Brussels, Belgium July 18, 2020. John Thys/Pool via REUTERS

German Chancellor Angela Merkel gestures next to France’s President Emmanuel Macron, Sweden’s Prime Minister Stefan Lofven and Finland’s Prime Minister Sanna Marin during the first face-to-face EU summit since the coronavirus disease (COVID-19) outbreak, in Brussels, Belgium July 18, 2020. John Thys/Pool via REUTERS

 

La crisi di governo di questi giorni è quindi seguita con particolare attenzione a Bruxelles e nelle altre capitali europee.

Afferma Dacian Ciolos, il capogruppo liberale al Parlamento europeo: “È fondamentale che ogni Stato membro abbia una strategia chiara su come utilizzare al meglio gli strumenti decisi a livello europeo. Non si tratta solo di dare ai nostri paesi sostegno finanziario, ma dobbiamo fare in modo che ogni Stato membro esca più forte da questa crisi. Non abbiamo margini di errore. Matteo Renzi ha provocato un dibattito fondamentale a cui tutti i nostri governi devono far fronte. In un periodo di tempo molto breve, se non si fanno le scelte giuste, sarà troppo tardi. Questo è il momento decisivo per mettere l’Italia sulla strada giusta”.

Ha commentato su Twitter la capogruppo socialista Iratxe García Pérez: “Irresponsabilità assoluta di Matteo Renzi. Nel bel mezzo di una pandemia globale, stabilità e sicurezza di governo sono essenziali per rispondere alle preoccupazioni sanitarie, sociali ed economiche. Mi auguro che l’Italia esca quanto prima da questa situazione”.

Aggiunge Pedro López, portavoce del gruppo popolare, sempre al Parlamento europeo: “Vi è grande preoccupazione” per la situazione italiana. “Al netto della soluzione politica, le regole che sottintendono all’uso del Fondo per la Ripresa eviteranno lo spreco” di denaro. “Ma è necessario un governo che presenti un piano chiaro ed efficace. Lo chiedono gli italiani e l’Europa”.

Dietro alle dichiarazioni politiche – e al netto delle considerazioni sulla bontà o meno del piano di rilancio nazionale – mi sembra che si nascondano almeno tre motivi per cui i partner stanno dimostrando specifica attenzione per gli avvenimenti romani di questi giorni, e non esitano a esprimere particolare frustrazione per l’ennesima crisi politica italiana.

Prima di tutto, temono come in altri casi l’eccessivo nervosismo sui mercati finanziari, tenuto conto dell’elevato debito italiano, cresciuto oltretutto in questo ultimo anno di pandemia, fino a toccare il 160% del PIL nel 2020, secondo le ultime previsioni della Commissione europea. Il contesto economico è già abbastanza difficile.

In secondo luogo, più che in passato, i partner hanno un proprio specifico interesse nazionale a che l’Italia eviti l’instabilità politica e si riprenda economicamente il più presto possibile, usando il denaro comunitario in modo efficace e tempestivo. I legami sono particolarmente stretti nella zona euro e il paese è un importante mercato economico e un decisivo fornitore industriale, in particolare della Germania.

Infine, nell’accettare di prendere a prestito sui mercati finanziari insieme ai propri partner molti governi hanno preso un rischio politico a casa propria. Sappiamo che in Germania, in Olanda o in Finlandia, i dirigenti politici sono stati costretti dalle circostanze e hanno dovuto convincere fette importanti della loro opinione pubblica, fredda all’idea di indebitarsi in comune con gli altri paesi europei. Questi leader hanno quindi un interesse politico personale a che l’Italia rispetti i patti.

In buona sostanza, questa crisi italiana è la prima crisi politica dopo il salto di qualità nell’integrazione europea avvenuto l’estate scorsa (il difficile vertice che approvò il Fondo per la Ripresa durò dal 17 al 21 luglio). In passato, i governi europei guardavano ai dibattiti spesso scomposti a Montecitorio e a Palazzo Madama con preoccupazione, ma anche una certa filosofia. Oggi in ballo vi sono interessi europei e nazionali molto più acuti, a conferma di come l’integrazione comunitaria sia una via a due sensi: garantisce aiuti, ma impone anche responsabilità.

  • habsb |

    dr. Romano

    analisi molto appropriata della situazione delicatissima in cui versa il Bel Paese.
    Non è un caso d’altronde che lo scaltrissimo Renzi si sia opportunamente defilato.

    Gli ingenti fondi versati con difficoltà da Bruxelles consentono di mettere come non mai sotto osservazione i governi dei vari paesi in difficoltà.
    Se ancora una volta questi fondi andranno a beneficiare non già le riforme strutturali e l’offerta, ma i soliti ignoti dell’aristocrazia miliardaria e della pletorica burocrazia di funzionari e eletti. (ceti che ricordano incredibilmente nobiltà e clero dell’Ancien Régime, prova ulteriore che la rivoluzione francese ha cambiato tutto perche’ tutto resti come prima), allora gli esigenti luterani del Nord Europa chiuderanno per sempre i rubinetti, e lasceranno cadere il castello di carte del debito italiano (e non solo).
    Mi piacerebbe tanto sapere a quanto i bookmaker di Londra danno la possibilità di un altro “Exit”, più o meno volontario da qui a cinque anni.

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