Vaccini anti-Covid in Gran Bretagna – L’audacia scientifica nel paese della pecora Dolly (e di Elisabetta I)

La decisione britannica di anticipare il resto del mondo occidentale vaccinando milioni di persone contro il coronavirus fin dall’inizio di dicembre ha provocato non pochi dubbi e perplessità. Mentre il resto dell’Europa aspetta l’autorizzazione finale dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) prima di utilizzare il siero messo a punto da Pfizer-BioNTech, il Regno Unito ha deciso di iniziare fin da subito, pur di mettere la parola fine all’epidemia virale del 2020.

Una premessa. Non è vero che il Regno Unito abbia potuto anticipare i tempi perché è uscito dall’Unione europea e si è liberato dei presunti lacci e lacciuoli comunitari. Fino al 31 dicembre prossimo il paese continua a essere membro del mercato unico e dell’unione doganale, e deve rispettarne le regole, anche quelle dell’EMA. Il governo inglese ha semplicemente utilizzato una norma comunitaria che in caso di pandemia permette scelte nazionali d’emergenza.

Chiarito questo aspetto, c’è da capire perché il Regno Unito abbia deciso di anticipare il resto del mondo occidentale (in Russia un vaccino esiste già da qualche settimana). I motivi sono certamente politici. Il premier Boris Johnson è attaccato da più parti per avere adottato una strategia a cui si attribuiscono numerosissimi morti (sono oltre 63mila i decessi dovuti al virus in Gran Bretagna). C’è il desiderio di girare pagina, far dimenticare gli errori (grossolani?) del passato, dimostrare i presunti vantaggi di Brexit e magari anche mettere in scena una qualche forma di snobismo imperiale. elizabeth-1-blancheur

Ciò detto, il rischio rimane notevole. La scelta politica potrebbe rivelarsi un boomerang sanitario. Come è possibile che il premier Johnson decida di anticipare i tempi, e dare un benestare a un nuovo vaccino così rapidamente? Peraltro, il siero è nuovo, basato su un meccanismo – l’RNA messaggero – che induce il corpo a produrre anticorpi (un vaccino normale invece prevede l’iniezione di una parte del virus inattivo o di proteine virali per scatenare la reazione immunitaria).

In realtà, la scelta del primo ministro si fonda su una straordinaria vena liberale e moderna nella società britannica, non solo in campo politico o economico, come abbiamo toccato con mano nei mesi scorsi quando gli inglesi rifiutavano caparbiamente il confinamento, ma anche in ambito scientifico.

La Gran Bretagna è il paese che per primo ha concepito un bambino in provetta. Era il 1978 e la neonata, Louise Joy Brown, nacque in un ospedale di Oldham, nel Nord-Ovest dell’Inghilterra. Da allora, altri bambini nacquero nello stesso innovativo modo in giro per il mondo, ma gli scienziati britannici furono i primi a effettuare con successo questo esperimento.

Qualche anno dopo, in una relazione nota con il nome di Warnock Report, dal nome della filosofa esistenzialista Mary Warnock (1924-2019), una commissione di intellettuali e scienziati voluta dall’allora primo ministro Margaret Thatcher stabilì che gli embrioni umani dovevano essere protetti, ma che la ricerca doveva comunque essere autorizzata entro limiti precisi.

Il Warnock Report dette il via a nuovi esperimenti, soprattutto nel campo della clonazione. Nel 1997, la società scozzese PPL Therapeutics, in colaborazione con il Roslin Institute di Edimburgo, annunciò la nascita della pecora Dolly, il primo mammifero clonato della storia. Da allora, la clonazione umana è stata vietata nel Regno Unito, ma il paese è all’avanguardia mondiale nella ricerca embrionale, delle cellule staminali, quindi nella cura delle malattie genetiche.

Qualche anno fa incontrai a Londra John Burn, un noto professore genetista dell’Università di Newscastle, dove ha sede un famoso centro di ricerche sulle cellule staminali, il Center for Life.

In una lunga conversazione, il professor Burn fece risalire l’audacia inglese in campo scientifico alla scelta di Enrico VIII di rifiutare nel 1534 l’autorità papale. Nel Seicento, durante l’epoca elisabettiana, il paese “si liberò dalle catene della morale cattolica”. Le stesse opere di William Shakespeare – mi fece notare – sono il riflesso di una società in piena fioritura artistica e intellettuale. “Le università di Oxford e Cambridge uscirono dal dogmatismo religioso e abbracciarono il pragmatismo scientifico”.

Nel confronto tra creazionisti ed evoluzionisti, la Gran Bretagna è certamente evoluzionista. Dietro alla scelta britannica di affrontare a viso aperto il nuovo vaccino anti-Covid vi è l’eredità di Charles Darwin, secondo il quale l’uomo è il risultato di una parabola naturale, di una lotta per la sopravvivenza. Ciò non significa non vi siano nella società britannica dubbi e paure nei confronti dei vaccini o di altre invenzioni scientifiche, ma semplicemente che il terreno politico e sociale sul quale poggia la decisione del premier Johnson è più ben disposto che altrove.

(Nella foto, un noto dipinto della Regina Elisabetta I che regnò tra il 1558 e il 1603)

 

  • habsb |

    egr. dr. Romano

    tutti si chiedono perché non si possa, anche in Italia, procedere alle vaccinazioni di massa e evitare cosi’ altre decine di migliaia di morti

    Malgrado i confinamenti, i coprifuoco e tutte le altre misure liberticide che hanno portato a miliardi di danni e alla rovina economica e umana di tante categorie di lavoratori (certo non i giornalisti o i politici!), Italia e Francia non hanno certo un bilancio migliore del tanto criticato, a torto, Boris Johnson. In tutti e tre i paesi i morti sono attorno ai 60mila.

    C’è un vaccino, sufficientemente testato : perche’ dunque non utilizzarlo ?
    Nessun bisogno di scomodare Shakespeare, Enrico VIII o i bebe’-provetta per spiegare una decisione che è frutto di puro buon senso comune, quello che purtroppo ha sempre separato i pragmatici anglo-americani dai pomposi teorici italiani e francesi.

    O forse bisogna aspettare che arrivino i vaccini concorrenti francesi di Sanofi e italiani ?

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