Il segretario della Lega e vicepremier Matteo Salvini può legittimamente salutare con soddisfazione gli ultimi risultati elettorali. In pochi anni il suo partito è diventato il primo in Italia, con oltre il 34% dei voti alle elezioni europee della settimana scorsa. Nelle consultazioni nazionali del 2018 aveva ottenuto poco più del 17% dei suffragi. Il suo obiettivo è “di cambiare l’Europa”, alleandosi con i partiti più nazionalisti ed euroscettici del nuovo Parlamento europeo. Non sarà facile; e non solo perché su molti argomenti le posizioni sono diverse. La stessa politica economica proposta dal vice presidente del Consiglio italiano rischia di indurre alla prudenza molti, se non tutti, i suoi potenziali alleati.
Con il Rassemblement National in Francia, Fidesz in Ungheria, Diritto e Giustizia (il PiS) in Polonia, il Brexit Party in Gran Bretagna o l’Ano in Repubblica Ceca, i punti in comune con la Lega sono numerosi. Non amano il processo di integrazione europea, ritengono che l’euro abbia ridotto la sovranità nazionale e creato diseguaglianza più che benessere, vogliono contrastare l’immigrazione. Hanno spesso visioni simili anche per quanto riguarda il ruolo della famiglia e della Chiesa. Cavalcano i sentimenti di appartenenza nazionale e offrono agli elettori una presunta nuova libertà dalle tante regole del vivere in comune nell’Unione europea.
Eppure, proprio ieri Gergely Gulyás, capo di gabinetto del premier ungherese Viktor Orbán, ufficialmente grande alleato di Matteo Salvini, ha spiegato a Budapest che vi sono “probabilità molto scarse di una alleanza” tra la Lega e Fidesz nel Parlamento europeo. Il partito ungherese è membro del Partito popolare europeo, anche se dal marzo scorso la sua partecipazione al PPE è stata sospesa per via di una deriva dello stato di diritto in Ungheria. I motivi della presa di posizione del braccio destro del primo ministro nei confronti della Lega sono numerosi. Forse alcuni sono anche tattici. Ma un motivo si staglia sullo sfondo: la politica economica italiana.
Vi è probabilmente da parte ungherese comprensione per il desiderio di Matteo Salvini di rinnegare le regole comunitarie, “il 3% di deficit – ha detto di recente – è un parametro vecchio e superato”; ma c’è anche grande preoccupazione per l’impatto che ciò potrebbe avere sui mercati finanziari e sulla stabilità dell’intera Unione europea, non solo della zona euro. Mostrare troppa vicinanza con la Lega rischia di essere pericoloso nel caso di crisi debitoria in Italia. Il contagio, inevitabile, potrebbe colpire i paesi ritenuti più vicini a Roma, anche se fuori dall’euro.
L’Ungheria non ha dimenticato che nel pieno della crisi finanziaria, nel 2008, fu costretta a chiedere l’aiuto del Fondo monetario internazionale, ossia un prestito di 11,6 miliardi di dollari il cui rimborso è terminato solo nel 2013. Da allora prevale il rigore di bilancio. Nel 2018, in Ungheria il deficit era dell’1,8% del PIL, in Polonia dell’1,6%, mentre la Repubblica Ceca aveva sempre l’anno scorso un attivo di bilancio dello 0,2%. Sul fronte del debito i dati sono pari al 69,2% in Ungheria, al 48,2% in Polonia, al 31,7% del PIL nella Repubblica Ceca.
Ai potenziali alleati della Lega va bene protestare, modificare l’impianto dell’Unione europea qua e là, contrastare le scelte più controverse, evitare un processo di integrazione troppo invasivo; ma certo non vogliono mettere a repentaglio la loro economia (e neppure i generosi fondi comunitari: l’Ungheria incassa ogni anno il 4% del PIL da Bruxelles, mentre la Polonia è tra le maggiori beneficiarie della politica agricola comune). Insomma, se l’Italia decidesse di tradire le regole dell’euro rischierebbe di scoprire di essere ancor più sola di quanto non pensi.
(Nella foto, il vice premier italiano Matteo Salvini e il premier ungherese Viktor Orbán, a sinistra, durante un incontro a Milano il 28 agosto 2018)