Il peso relativo dell’Italia nell’economia europea? In calo netto dal 1998 (mentre la Spagna sale)

La retorica nazionale non manca di ricordare, spesso in modo roboante, che l’Italia è un paese del Gruppo dei Sette, un paese fondatore dell’Unione europea, e soprattutto la terza economia della zona euro. Fino a quando? Il paese non solo è sempre più isolato politicamente in Europa; sul fronte economico il suo stesso peso relativo nell’unione monetaria è diminuito radicalmente negli ultimi venti anni. Il dato non è banale. Dal peso specifico di un paese in relazione al prodotto interno lordo della zona euro o dell’Unione europea dipendono non poche decisioni politiche in campo comunitario.

tria-655x400Negli ultimi venti anni, il peso relativo dell’economia italiana nella zona euro composta da 19 paesi membri è sceso in termini reali dal 18,6% nel 1998 al 15,4% nel 2017. Le economie dei principali paesi dell’unione monetaria si sono comportate in modo ben diverso. Il peso economico tedesco è rimasto stabile intorno al 28,3% del PIL complessivo, mentre i pesi economici di Francia e Spagna sono saliti, rispettivamente dal 20,7 al 20,9% e dal 10 all’11%. Piccoli aumenti, ma non insignificanti, soprattutto alla luce dell’andamento del PIL italiano.

I dati sono lo specchio di come singoli paesi si sono comportati in vent’anni di moneta unica, adattandosi o meno all’euro. Nonostante la gravissima crisi finanziaria ed economica della prima parte del decennio, che l’ha costretta a chiedere una linea di credito ai suoi partner europei, la Spagna è riuscita non solo a tenere le posizioni, ma addirittura a migliorarle. I due pesi massimi della zona euro, Germania e Francia, sono rimasti pressoché stabili. Dei paesi più importanti l’Italia è quindi quello che ha fatto peggio.

Il declino del peso relativo dell’Italia potrebbe avere un impatto su numerosce scelte comunitarie. Dal PIL italiano in percentuale rispetto al totale dell’unione monetaria dipendono almeno in parte i versamenti nel capitale della Banca centrale europea, ma anche la distribuzione di fondi europei. La classifica delle regioni europee, dalle più bisognose a quelle meno bisognose, dipende dal reddito pro capite.

Più in generale, i dati spingono ad almeno due riflessioni.

Prima di tutto, come non pensare che dall’andamento della propria economia dipenda anche il peso politico nei consessi comunitari? Proprio in questi giorni il ministro dell’Economia Giovanni Tria è tornato a parlare della riforma bancaria introdotta nel 2013 (il cosiddetto bail-in, che prevede la partecipazione di azionisti e obbligazionisti nella soluzione di una crisi creditizia). Secondo numerosi diplomatici che parteciperano alla trattativa di quei mesi, il negoziato italiano fu dettato non tanto da presunti ricatti di altri paesi quanto dalla grave debolezza della posizione italiana, segnata da banche fragili, crescita bassa, e soprattutto la pressione dei mercati che appena due anni prima aveva lasciato trapelare la possibilità di un aiuto straordinario da parte del Fondo monetario internazionale.

In secondo luogo, i dati dimostrano cifre alla mano che l’indebitamento non solo non fa crescere l’economia (oggi il debito oscilla intorno al 130% del PIL), ma in ultima analisi penalizza terribilmente l’Italia anche da un punto di vista politico. Fin tanto che il paese si crogiolerà nell’alto debito pubblico, ritenendolo tutt’al più un difetto adolescenziale, la sua capacità di incidere nelle trattative comunitarie e più in generale internazionali sarà inevitabilmente limitato e rischia di ridursi ulteriormente. Battere il pugno sul tavolo a Bruxelles, come amano dire i nostri esponenti politici, rischia di essere un atteggiamento illusorio, se non controproducente.

PS: ancora ieri a seguito di un rapporto della Commissione europea molto negativo sulle prospettive dell’economia italiana, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha risposto: “I fondamentali sono solidi, Bruxelles sottovaluta l’impatto delle misure che abbiamo varato”.

(Nella foto, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, 70 anni)

NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) is also on Facebook

  • PAOLO |

    Credo che le ragioni del progressivo ed inesorabile arretramento economico italiano siano piuttosto evidenti :
    il residuo annuo attivo che le regioni del nord hanno prodotto mediamente dal 2014 è stato + 95 miliardi di euro, il residuo annuo passivo delle regioni del sud nello stesso periodo è stato mediamente di euro – 63 miliardi di euro ; paghiamo circa 70 miliardi di euro di interessi passivi sul debito pubblico ogni anno; la percentuale media di Pil sommerso nelle regioni del nord si attesta attorno al 11% , mentre la percentuale di Pil sommerso al sud va dal 60% al 82% Per questa ragione la pressione fiscale sulla parte produttiva del paese è diventata enorme e alla lunga logorante; quando, non potendo più aumentare le imposte, si arriva ad applicare patrimoniali (eccesso di IMU/TASI e Bollo Titoli-applicato su somme risparmiate e su cui sono già stati pagati vari livelli di tassazione) siamo sul fondo del barile.. Fortunatamente dall’ingresso nell’Euro i tassi sul nostro debito si sono ridotti drasticamente facendoci risparmiare circa 3000 miliardi di interessi in 20 anni. Non credo ci sia molto da analizzare: purtroppo i numeri sono chiari ed inesorabili: Piuttosto verrebbe da chiedersi per quale ragione le parti politiche , di fronte ad uno scenario tanto evidente, continuino a cercare capri espiatori oltreconfine e siano restii a prendere quelle poche e cruciali misure per apportare quei cambiamenti strutturali necessari ad evitare un epilogo disastroso .

  • carl |

    Tutto o quasi quel che Lei elenca (a cominciare per l’appunto dalle ricorrenti citazioni retoriche…) rende il quadro attuale dell’Italia nostra. Un processo di decadimento economico iniziato per l’appunto una ventina di anni orsono e anch’esso continuativamente/mediaticamente sottolineato, ma quasi con “rassegnazione”.. Poi l’impatto della cosidetta crisi del 2008 non ha di certo migliorato la tendenza in atto ma l’ha bensì aggravata… Il debito pubblico ? Era già sul 100% del PIL 20 anni fa e non va dimenticato che i famosi interessi soco sicuramente considerati “interessanti” da coloro che li incassano….: o) Cosa ne fanno ? Questo sarebbe (se possibile) da appurare.
    Prospettive? Sono cruciali + o – per tutti in un mondo ove da una parte incombe una crescente, inarrestabile e non regolata automazione -specie nel secondario e terziario- e ove peraltro continua a rimanere (a grande richiesta di chi maggiormente conta) vigente la “regola” che ciò che l’uno arraffa, qualcun altro lo perde…
    Per non parlare della geopolitica che, come indicano i fatti IndoPakistani, possono emergere/incidere dalla sera alla mattina…

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