E’ da mesi, se non anni, che l’Italia è alle prese con un sistema bancario molto infragilito da pesanti sofferenze bancarie. Nei giorni scorsi, il governo Gentiloni ha trovato un accordo di principio con la Commissione europea per ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena. Resta da risolvere il futuro di due banche regionali: la Banca popolare di Vicenza e la Veneto Banca. Insieme hanno registrato perdite miliardarie: 3,4 miliardi di euro nel 2016 (rispettivamente 1,9 e 1,5 miliardi di euro). Insieme danno lavoro a 11.600 dipendenti (rispettivamente 5.400 e 6.200 persone). Il governo Gentiloni ha chiesto anche in questo caso la possibilità di una ricapitalizzazione precauzionale. Ne vale la pena per due banche relativamente piccole nel contesto italiano ed europeo (la Banca popolare di Vicenza è al 12mo posto nella classifica Mediobanca delle banche italiane per il totale dell’attivo, Veneto Banca al 15mo posto)? Agli occhi dell’establishment italiano, evidentemente sì.
La classe politica teme l’effetto boomerang che un fallimento potrebbe avere sull’opinione pubblica, soprattutto in un momento elettorale. La classe imprenditoriale preme per un compromesso, pur di evitare perdite finanziarie o danni d’immagine. In fondo, tutti vogliono proteggere una rete clientelare di cui tutti beneficiano. Qui a Bruxelles, Commissione e Consiglio lasciano intendere ai loro interlocutori italiani che il fallimento della Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca sarebbe la soluzione più naturale poiché le regole comunitarie sono tali per cui lo stato di crisi delle due istituzioni richiederebbe una ristrutturazione inutilmente costosa, se mai fosse possibile. Una delle condizioni per l’aiuto pubblico è la solvibilità a lungo termine dell’istituzione finanziaria. In questo contesto, Consiglio e Commissione si chiedono come sia possibile che l’Italia sia pronta a spendere tra i 6 e i 7 miliardi di euro dei contribuenti – questa la stima circolata in queste settimane – per salvare due banche regionali quando peraltro il paese ha estremo bisogno di un consolidamento del mercato bancario. In cuor loro, i funzionari comunitari più lucidi sono al corrente del reticolo clientelare che sostiene i due istituti; sospettano che gli italiani considerino il denaro pubblico come il denaro di terzi; temono che dietro alla scelta di salvare le due istituzioni si nasconda l’inconfessabile desiderio di creare un precedente nel caso altre banche italiane si trovino a un certo punto nella stessa situazione. L’Italia deve sapere tuttavia che a rischio è il futuro della tanto agognata unione bancaria.
Questa si basa su una vigilanza unica, su una risoluzione unica e sulla creazione di una assicurazione unica dei depositi. Da tempo, la diplomazia italiana chiede che il terzo pilastro venga completato. Il negoziato comunitario è difficile. I paesi chiedono garanzie sulla riduzione dei rischi bancari prima di accettare una eventuale condivisione dei costi. Sostengono che la solidarietà richieda inanzitutto responsabilità. D’altro canto, che senso ha dal loro punto di vista accettare di essere responsabile in solido di banche oberate da sofferenze bancarie? In questo senso, il caso delle due banche venete non è banale. Se l’Italia riuscisse a imporre alle autorità comunitarie un salvataggio pubblico, rischierebbe di raffreddare ulteriormente il già freddo desiderio di alcuni paesi di perseguire l’unione bancaria. Inevitabilmente, il salvataggio verrebbe interpretato dai partner più sospettosi come l’ennesima occasione sprecata per ripulire i bilanci creditizi italiani. Alcuni paesi non mancherebbero l’occasione per ribadire il loro scetticismo e giustificare la loro ritrosia nel garantire maggiore solidarietà. Si possono capire alcuni degli interessi dell’Italia, soprattutto in un clima elettorale su cui pesa la minaccia di una vittoria anti-sistema, ma il governo Gentiloni deve valutare se il gioco vale la candela. Quanto più il paese si dimostrerà pronto a fare sacrifici, tanto più la sua strategia diplomatica sarà efficace e convincente, e tanto più potrà chiedere a suo turno sacrifici ai suoi partner. Vista da Bruxelles, piuttosto che da Vicenza, Treviso e Roma, il futuro dell’unione bancaria appare in bilico.
(Nella foto, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan con la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager)
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