Qualche giorno fa un giornalista straniero mi ha chiesto di punto in bianco: “Perché il governo italiano è così ossessionato dalla flessibilità di bilancio? Sembra che non si parli di altro in Italia…”. La domanda pare banale, quasi ingenua, a tutta prima. Ma in fondo l’interrogativo è lecito, anche perché dividere l’Europa tra coloro che vogliono l’austerità e quelli che sono contrari all’austerità, tra chi è egoista e chi è generoso, tra chi è ottuso e chi è pragmatico è semplicistico e parziale. Consapevole della difficile situazione economica, lo stesso esecutivo comunitario ha pubblicato nel gennaio dell’anno scorso nuove linee-guida nell’applicazione del Patto di Stabilità e di Crescita, adottando nuovi criteri per allentare gli obblighi di bilancio. Un maggiore margine di manovra può essere concesso ai paesi quando questi decidono di fare investimenti, subiscono un rallentamento economico particolarmente forte, si impegnano nel modernizzare la loro economia. Come ha spiegato lo stesso presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker la settimana scorsa, l’Italia ha goduto di 19 miliardi di euro di maggiore spesa tra il 2015 e il 2016, grazie a una applicazione meno rigorosa del previsto del Patto di Stabilità. Ha anche aggiunto che il paese è stato quello che in Europa ha avuto di più dalla Commissione europea, in termini di flessibilità di bilancio. Ciononostante, il governo Renzi chiede ulteriore flessibilità di bilancio, e sta negoziando con i denti la prossima Finanziaria del 2017. L’impressione è che Roma qualcosa riuscirà a strappare, fosse solo per le spese che deve sostenere per via del terremoto di fine agosto nel Lazio o a causa dell’emergenza rifugiati nel Mediterraneo. L’esecutivo comunitario frena, ma probabilmente concederà al governo qualche margine di manovra in più. Di primo acchito, il governo italiano sembra dare battaglia su questo fronte perché è convinto che la situazione economica è tale per cui la crescita vada sostenuta, mentre il paese si sta lentamente modernizzando. Naturalmente anche la situazione politica ha un suo peso. Per il governo, il prossimo referendum costituzionale è un banco di prova sul suo futuro. Sostenere la crescita è doppiamente importante. Queste sono le ragioni più ovvie, ma che non sempre convincono pienamente gli osservatori stranieri. Se l’esecutivo comunitario è riluttante nel concedere nuova flessibilità, non è solo perché vuole applicare con serietà le regole del Patto di Stabilità, ma perché sospetta che in fondo l’obiettivo dell’establishment italiano è di evitare di mettere mano al vero problema italiano: il debito pubblico. Quest’ultimo non è solo elevatissimo, è anche il riflesso dell’assetto stesso della società italiana. Nel corso dei decenni, l’indebitamento è servito al paese per modernizzarsi e per dotarsi di un welfare state. Ma dietro al debito non si nascondono forse anche le piccole e grandi pecche italiane? La grande evasione fiscale e la piccola elusione fiscale; i generosi sussidi alle imprese e le numerose pensioni-baby; i grandi furti dei politici e le piccole truffe degli italiani; il divario Nord-Sud; le autostrade mai terminate ma che danno lavoro a centinaia di persone per decine di anni; un sistema bancario oberato dai crediti facili; la giustizia lenta che penalizza alcuni ma favorisce molti, tutti coloro che non hanno torto ma neppure completamente ragione, per via spesso di leggi contorte; gli stipendi elevati di molti – nel pubblico e nel privato – che sono prebende elettorali a potenti corporazioni, ma anche un modo per ottenere il silenzio dinanzi a scelte clientelari, gestioni discutibili, promozioni ingiustificate, se non addirittura decisioni illegali. Mettere mano al debito pubblico significa quindi rivoluzionare la vita quotidiana di un paese che del proprio debito pubblico ha fatto un elemento della coesione sociale. Mentre la crisi economica perdura da otto anni, la prosperità diminuisce e le regole europee si fanno sempre più stringenti e quindi impopolari. In fondo, molti partner dell’Italia sospettano in cuor loro che il paese chieda flessibilità di bilancio per evitare di mettere mano al debito pubblico, sempre sopra al 130% del prodotto interno lordo nonostante negli ultimi 20 anni i bassissimi tassi d’interesse abbiano fatto risparmiare miliardi allo Stato nel servizio del passivo. In altre parole, l’establishment europeo non è convinto che l’elevato debito pubblico sia dovuto semplicemente all’assenza di crescita economica. Anzi, teme che nuovi margini di flessibilità rischiano di essere utilizzati poco saggiamente. In altre circostanze, l’Italia potrebbe ignorare le pressioni europee. Da quando ha scelto di partecipare all’Unione europea le sue magagne sono anche quelle dei suoi vicini.
(Nella foto, il premier Matteo Renzi durante una recente intervista televisiva)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook