Sarà un fine anno molto spagnolo per chi segue gli affari europei. Il paese, la terza economia della zona euro, affronta il prossimo 20 dicembre difficili elezioni legislative il cui esito è ancora molto incerto. Secondo gli ultimi sondaggi, i quattro grandi partiti nazionali – il PP, il PSOE, Ciudadanos e Podemos – sono riuniti in un fazzoletto, tutti oscillano poco sotto o poco sopra il 20% dei suffragi. Molti osservatori si aspettano che il paese debba arrendersi all’idea di un governo di coalizione. Difficile dire oggi quale sarà il partito di maggioranza relativa. Nel frattempo, in Catalogna deve insediarsi un nuovo governo che nelle intenzioni del partito uscito vittorioso dal voto del 27 settembre, il Junts pel Sí, dovrebbe portare all’indipendenza della regione. I partiti hanno due mesi per formare un nuovo esecutivo a Barcellona. Di passaggio a Bruxelles, Roger Albinyana i Saigí, il 35enne segretario agli affari esteri del governo catalano, ha tratteggiato la strategia dei prossimi mesi. Prima di tutto, entro breve, il Parlamento regionale dovrebbe approvare una dichiarazione politica non vincolante con la quale far scattare il processo di indipendenza. In secondo luogo, nel giro di 18 mesi, la nuova maggioranza vuole adottare le necessarie istituzioni per consentire alla regione di funzionare in quanto stato indipendente. Infine, sempre la nuova maggioranza preparerà una costituzione catalana. I tre passi appena elencati sono tendenzialmente condizionati alla nascita di un nuovo governo di coalizione che sia unito nel desiderio di percorrere questa strada. “Prevediamo di indire un referendum alla fine dell’iter politico, una volta che avremo cambiato il quadro legale, per assicurarci che la popolazione è favorevole all’indipendenza”, spiega Albinyana, che ha incontrato la stampa nella sede della delegazione catalana a Bruxelles, un ufficio di 14 persone aperto nel 1986. Attualmente, secondo la Corte costituzionale, la legge spagnola non consente a una regione del paese di indire unilateralmente un voto referendario di autodeterminazione. La scelta dell’indipendenza di una regione popolata da 7,5 milioni di persone, ricca ma anche molto indebitata, è controverso. Ha senso da un punto di vista politico ed economico per la Catalogna abbandonare la Spagna? Alla domanda Albinyana risponde, studi alla mano, che “lo status quo sarebbe la cosa peggiore”. E aggiunge: vi sarebbero svantaggi solo se la separazione fosse “traumatica”. L’uomo politico spiega che se la Catalogna ha deciso di insistere per ottenere l’indipendenza è perché la regione non è riuscita a convincere il governo centrale a intavolare trattative su un rapporto diverso con Madrid. Alla domanda se Barcellona sarebbe pronta ad accettare una soluzione meno impegnativa dell’indipendenza, la risposta di Albinyana è sorprendentemente pragmatica: “Dipenderà dalla situazione. La società catalana non è storicamente votata all’indipendenza. Non è mai stata felice del rapporto con Madrid, ma ha sempre sperato di poter vivere in una Spagna diversa. Negli ultimi 10-15 anni, le relazioni sono peggiorate, anche perché il governo centrale ha chiuso la porta al dialogo (…) Ciò detto, per venire alla sua domanda, potremmo valutare soluzioni diverse a due condizioni. La prima è che l’offerta proveniente da Madrid sia sostenuta da tutti i grandi partiti spagnoli. La seconda è che ci possa essere in Catalogna un referendum sulla stessa proposta”. Dopo la campagna elettorale di questa estate e l’eccitazione provocata dai risultati del voto di fine settembre, la risposta di Albinyana, che non chiude la porta a un compromesso tra Barcellona e Madrid, si è rivelata curiosamente possibilista (e realista).
PS: nel corso della discussione, al rappresentante del governo catalano è stato chiesto quali siano i rapporti dei partiti indipendentisti catalani e in particolare di Convergenza democratica di Catalogna con la Lega Nord italiana. La risposta è stata netta: “Non abbiamo nulla a che fare con loro”. Qualche minuto prima aveva fatto notare che la sua regione ha accettato di sua sponte di accogliere un terzo dei rifugiati che l’Unione Europea ha appena deciso di ricollocare in Spagna.
(Nella foto, l’uomo politico e segretario agli affari esteri catalano Roger Albinyana i Saigí)
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