E’ una strada lunga e impervia quella che dovrebbe portare, almeno stando agli impegni presi, verso una maggiore armonizzazione fiscale in Europa. A rischio, ancora una volta, è il rapporto della Gran Bretagna con l’Unione Europea, una relazione che proprio il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha promesso di salvaguardare. La vicenda messa in luce da una inchiesta giornalistica di accordi fiscali, tanto controversi quanto generosi, concessi nell’ultimo decennio dal Lussemburgo a centinaia di aziende multinazionali ha scosso il mondo politico. L’Europa anche in campo fiscale è in mezzo al guado, fosse solo perché è materia che richiede l’unanimità dei Ventotto. Ha una moneta unica, una sola banca centrale, capitali e persone possono circolare liberamente; ma i governi possono decidere i loro sistemi fiscali e i loro tassi d’imposizione, offrendo in giro per l’Europa i pacchetti più vantaggiosi a persone e imprese. Il Lussemburgo, l’Olanda, l’Irlanda o l’Austria sono tra i paesi che hanno fatto della politica fiscale un modo per attirare investimenti e capitali. Senza parlare dei paradisi fiscali in casa propria: le isole della Manica in Gran Bretagna; Monaco in Francia; San Marino in Italia. Dal 2006 ad oggi il denaro gestito dai 10mila fondi registrati nel Granducato è passato da 1850 miliardi a 3000 miliardi di euro. Nel paese hanno una presenza 141 banche, mentre nel solo settore finanziario lavorano 27mila persone. In un libro dell’inizio dell’anno intitolato Dumping fiscal, il giornalista belga Eric Walravens racconta di come alcuni paesi facciano una concorrenza sleale ai vicini europei. La vicenda lussemburghese, in un contesto di gravi ristrettezze finanziarie, ha provocato una levata di scudi, rilanciando il tema dell’armonizzazione fiscale. Due i dossiers attualmente sul tavolo che potrebbero essere presto approvati dai Ventotto. Il primo è una proposta di direttiva che meglio regola il rapporto tra casa madre e società filiale, proprio per evitare trasferimenti surrettizi di profitti da una entità all’altra in modo da ridurre il carico fiscale. Il secondo è una proposta di creare una base imponibile comune per tutte le società europee. Questo testo fu presentato dalla Commissione nel 2011, e da allora è rimasto bloccato dai veti nazionali, nonostante la scelta dell’esecutivo comunitario di farne un impegno opzionale, non obbligatorio. La nuova Commissione ha promesso di ripresenterlo al più presto, anche perché in origine l’obiettivo non era di lottare contro l’elusione fiscale, ma di evitare la doppia tassazione. Personalmente in difficoltà, Juncker ha fatto della lotta all’evasione fiscale un suo cavallo di battaglia. Non sarà facile. Nei giorni scorsi l’associazione imprenditoriale Business Europe ha avvertito in un comunicato che dal suo punto di vista bisogna “rispettare la competenza dei paesi membri di decidere le proprie politiche fiscali, associando a questo diritto il pieno rispetto delle regole sugli aiuti di Stato per assicurare condizioni eque nel mercato unico”. Anche dalla Gran Bretagna sono venute rimostranze. Kay Swinburne, deputata europea del partito conservatore, ha spiegato che non c’è bisogno di maggiore centralizzazione e maggiore legislazione in sede europea. “Non abbiamo bisogno neppure di armonizzazione fiscale. La concorrenza fiscale è della massima importanza nell’Unione europea perché ci incoraggia a rimanere competitivi a livello globale”. Fedele al motto No Taxation Without Representation, la Gran Bretagna darà battaglia contro il nuovo impegno comunitario. Sono probabili nuove tensioni con Londra in un contesto nel quale la cooperazione rafforzata a livello di zona euro può essere una soluzione, ma rischia di essere parziale e insoddisfacente perché il mercato unico e la libera circolazione dei capitali sono a 28, non semplicemente a 18. Peraltro, una maggiore armonizzazione fiscale – una armonizzazione totale non esiste neppure negli Stati Uniti – richiede anche una maggiore solidarietà politica e finanziaria, altro tema finora controverso.
(Nella foto, a sinistra il premier inglese David Cameron; a destra il presidente della Commissione europea ed ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker durante un recente Consiglio europeo)