BRUXELLES – Tra i compiti del diplomatico c'è quello di correggere volta per volta i rapporti del suo Paese con lo Stato o l'istituzione presso cui è accreditato. Deve raffreddare le tensioni quando queste rischiano di scappare di mano; ma deve anche calmare i facili entusiasmi e le esagerate aspettative. Un diplomatico sa che troppo pessimismo così come troppo ottimismo sono cattivi consiglieri. Negli ultimi tempi, l'impegno di Ferdinando Nelli Feroci è stato gravoso: ha rappresentato l'Italia nelle istituzioni europee, vivendo sulla linea del fronte la crisi della zona euro, così come la costante instabilità politica del suo paese.
In questi cinque anni,
l'ambasciatore è stato chiamato a spiegare a Bruxelles l'anomalia di
Silvio Berlusconi, ma anche le eccessive attese provocate dall'arrivo di
Mario Monti alla guida di un governo "tecnico". A 67 anni, Nelli Feroci
lascia la Farnesina. Il suo ritiro dalla diplomazia, dopo 40 anni di
una carriera che lo ha portato da New York ad Algeri, da Parigi a
Pechino, è l'occasione per una serie di giudizi sulla classe politica e
amministrativa italiana, mentre l'Italia è in procinto di assumere a
metà 2014 il pesante impegno della presidenza semestrale dell'Unione.
«Se si isolano alcuni esempi macroscopici di anti-europeismo – spiega
l'ambasciatore, durante una conversazione alla vigilia della sua
partenza da Bruxelles – la classe politica italiana continua ad aderire
al progetto europeo. Ciò però non basta. Sarebbe opportuno far
corrispondere al tasso di entusiasmo per l'Europa una macchina politica e
amministrativa attrezzata per stare in Europa, in grado di individuare
gli interessi nazionali per tempo, che non sia solo in grado di reagire
di fronte a iniziative o proposte di altri, ma che possa influenzare a
monte il processo legislativo. Prima con Mario Monti, e ora anche con
Enrico Letta, abbiamo assistito a una capacità spettacolare di
migliorare la nostra presenza in Europa. Occorre che il processo
continui».
Più in generale, c'è da chiedersi se la classe politica
italiana sia all'altezza. «Non posso e non voglio fare generalizzazioni –
risponde il diplomatico, in passato anche capo di gabinetto dell'allora
ministro degli Esteri Massimo D'Alema –. Certo rispetto a quando sono
entrato in carriera il clima è cambiato. Negli anni 70, la visione del
progetto europeo era idealista. Oggi l'Europa si è complicata. Manca la
condivisione di un progetto comune in grado di mobilitare le nostre
opinioni pubbliche. Alleanze ad hoc su questioni singole si fanno e si
disfano. È più complesso di prima stare in Europa da protagonisti perché
il terreno è più variegato, più accidentato. Non è più sufficiente
invocare il rispetto del metodo comunitario o l'obiettivo dell'unione
politica».
Quanto alla crisi, Nelli Feroci ha una visione positiva
del modo in cui l'Europa sta cercando di uscire da quella che appare la
sfida maggiore al progetto europeo, sia sotto il profilo economico che
istituzionale. Avverte però il diplomatico: «Abbiamo fatto molte scelte
senza ricercare la necessaria legittimità democratica. Abbiamo risolto
situazioni di emergenza, ma rischiamo di perdere per strada il consenso
popolare. Siamo stati capaci di agire solo sotto la pressione degli
eventi. Temo che molti Paesi non abbiano chiara consapevolezza di cosa
voglia dire garantire il futuro dell'euro e quale dovrà essere il loro
contributo nazionale».
Il diplomatico non lo dice, ma il
riferimento sembra essere a una Germania riluttante nel prendere le
proprie responsabilità; a una Francia ancorata al suo passato di grande
potenza; e, perché no?, a un'Italia preoccupata dal rimettere in gioco i
legami familistici che permeano la società. «Il processo però è avviato
– prosegue l'ormai ex rappresentante dell'Italia presso l'Unione –. La
vera difficoltà sarà di mantenere uniti i 28 e definire un rapporto
corretto e sostenibile tra membri della zona e i Paesi che non intendono
aderire alla moneta comune. Esiste all'orizzonte un rischio di uscita
del Regno Unito dall'Unione. Credo che sia nostro interesse aiutare
Londra a ritrovare un rapporto meno antagonistico con Bruxelles».
Nelli Feroci termina la carriera dopo periodi trascorsi anche in Francia
e in Cina. Proprio in Asia ha tratto conferma della necessità di una
Unione forte: «A Pechino ho sentito il senso di impotenza di un
diplomatico occidentale: il confronto tra la Cina e l'Italia era troppo
squilibrato; il divario politico ed economico troppo grande». A
Bruxelles, invece, ha apprezzato la diplomazia multilaterale. «Il
bilaterale – conclude – ha il suo fascino, ma anche i suoi limiti. Si è
sempre un po' spettatori. Qui si è più attori». Non c'è funzionario
dello Stato in Italia che non si ritiri con un certo sollievo, ma negli
occhi di Nelli Feroci (per un attimo) appare un'ombra di rimpianto. B.R.