Dopo settimane di incertezze e ore di negoziati, i 27 paesi dell'Unione hanno finalmente trovato nella notte tra venerdì e sabato un'intesa sul mandato da affidare alla Commissione europea perché possa negoziare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. L'idea di un nuovo trattato commerciale con il partner americano è cruciale. E non tanto perché creerebbe una regione di libero scambio tra le due sponde dell'Atlantico, ma per la possibilità per le due aree economiche di imporre standard regolamentari a livello internazionale. Tra i due blocchi ormai discutere di dazi, tasse o sussidi è questione relativa. Le barriere doganali sono limitate. Certo, l'Europa difende (o tenta di difendere) la propria produzione culturale; gli Stati Uniti pretendono che il trasporto marittimo tra un porto e l'altro del paese avvenga su navi americane. Ma sono aspetti minori nel rapporto commerciale tra due grandi aree economiche già molto integrate tra loro. La UE è il più importante partner commerciale degli Stati Uniti; gli USA sono il secondo partner commerciale dell'Unione. L'aspetto più cruciale delle prossime trattative è in verità regolamentare. L'obiettivo sarà di armonizzare norme tecniche, in particolare in campo industriale. E' una questione tanto difficile quanto ambiziosa, tanto complessa quanto premiante. Mi spiegava qualche giorno fa un alto responsabile europeo: “America ed Europa hanno ancora oggi nel mondo un peso specifico e una significativa economia di scala. Nel negoziato con gli americani, l’Europa può sperare di imporre i propri standard agli Stati Uniti, e quindi nei fatti al resto del mondo. Ma per quanto tempo ciò sarà possibile? Tra dieci anni i paesi emergenti avranno un peso maggiore di oggi, mentre viceversa le economie di scala di Stati Uniti ed Unione Europea saranno molto inferiori”.
A Bruxelles nessuno ha dimenticato, per esempio, che nel settore dei videoregistratori l'olandese Philips è stata superata rapidamente dalle società giapponesi che poterono approfittare di economie di
scala molto più importanti, tanto da riuscire a dominare il mercato di questo prodotto nel
giro di pochissimo. Secondo il mio interlocutore, "se i due blocchi trovano un accordo su norme industriali comuni, creando nuovi standard magari su basi europee, ciò darà un importante vantaggio competitivo all'industria del nostro continente". La Commissione si è data come obiettivo di portare il peso del settore industriale nel prodotto interno lordo europeo al 20% del totale entro il 2020, rispetto alla quota del 15-16% che prevale ora. Per certi versi, il futuro accordo commerciale con gli Stati Uniti è forse una delle ultime occasioni per l'Europa di imporre il proprio standard tecnico-industriale prima agli Stati Uniti, e poi di conseguenza al resto del mondo. In futuro dovrà fare i conti con la concorrenza sempre più agguerrita della Cina, del Brasile o dell'India, e in generale dei paesi emergenti. Oggi, Unione Europea e Stati Uniti pesano per metà del PIL mondiale e per un terzo del commerciale mondiale. Tra qualche anno, il loro peso sarà ben diverso. In questo senso, le prossime trattative commerciali potrebbero avere, al netto delle debite differenze e delle debite proporzioni, conseguenze non dissimili a quelle che ebbe il regolatore di James Watt negli anni 1760. Migliorando l'efficienza della macchina a vapore, Watt impose un nuovo standard internazionale e dette alla Gran Bretagna (prima che l'invenzione venisse copiata spudoratamente) un vantaggio competitivo rispetto ai suoi vicini.
(Nella foto, a sinistra il ministro irlandese per il Commercio, l'impresa e l'Innovazione Richard Bruton, a destra il commissario europeo al Commercio, il belga Karel De Gucht. Ambedue sono stati protagonisti delle trattative a 27)
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