In tre giorni, il nuovo presidente del Consiglio Enrico Letta ha visitato tre città del Nord Europa e incontrato cinque dirigenti europei: a Berlino il cancelliere tedesco Angela Merkel, a Parigi il presidente francese François Hollande, a Bruxelles il premier belga Elio Di Rupo, il presidente della Commmissione José Manuel Barroso e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Partito martedì pomeriggio per la Germania, è tornato a Roma giovedì mattina. Alcuni osservatori hanno criticato la scelta di visitare Berlino prima di Bruxelles: "Ricorda quasi il viaggio di De Gasperi a Washington del 1947" quando l'allora presidente del Consiglio si recò negli Stati Uniti per ottenere una cruciale linea di credito, ha detto uno di loro. Forse, ma la cosa non mi sciocca.
"E' l'aspetto che più mi ha colpito e incuriosito", spiega un partecipante agli incontri. Nei suoi colloqui, Letta ha spiegato con dettagli precisi la deriva della classe politica. Secondo alcuni diplomatici, avrebbe precisato che ormai in Italia sarebbero oltre 300mila le persone legate direttamente o indirettamente a un mandato politico. Il premier ha messo l'accento sulle divergenze crescenti tra Nord e Sud dell'Italia e ribadito che nel caso non ci fossero progressi sul fronte costituzionale entro 18 mesi sarebbe pronto a dimettersi. Insomma, anziché soffermarsi solo sulla situazione economica, sulle tensioni dei mercati, sull'aumento della disoccupazione, Letta si è lanciato in "una piccola analisi politologica dell'Italia", secondo l'espressione di un partecipante. Ai suoi interlocutori questo aspetto non è dispiaciuto. Da un lato, una riforma della classe politica è ritenuta essenziale per tagliare le gambe ai partiti più populistici. Dall'altro, c'è la convinzione in molti ambienti europei che la crisi italiana sia tanto economica quanto istituzionale. Alla fine del 2011, mentre il governo Berlusconi stava lentamente morendo, la Commissione mandò a Roma un questionario preciso sulle prossime misure che l'Italia intendeva prendere. Il documento comprendeva un capitolo tutto dedicato proprio alle riforme costituzionali. A Bruxelles, Letta ha trovato particolare comprensione. In Belgio si ricorda volentieri che prima dell'ultima riforma federalista la gestione di politica economica era prigioniera di un meccanismo infernale. Ogni qualvolta, per esempio, si decideva di dare un sussidio al porto di Anversa, bisognava fare altrettanto per un acciaificio in Vallonia. Era "la politique du gaufrier", la politica dello stampo per cialde. Molti osservatori belgi sostengono che la federalizzazione del paese ha contribuito a una responsabilizzazione degli enti locali e a una migliore gestione dell'economia. E' probabile che nel mettere l'accento sugli aspetti istituzionali della crisi italiana, Letta abbia voluto preparare il terreno per usare proprio la sensibilità europea in questo campo come possibile sponda nel difficile dibattito italiano sul futuro della costituzione.
(Nel paese della pioggia, ombrelli nazionali – Nella foto, un angolo del guardaroba della residenza del primo ministro belga, in rue Lambermont a Bruxelles, il 1° maggio 2013)
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