BRUXELLES – Dopo che i ministri delle Finanze dei 17 si sono riuniti giovedì sera in teleconferenza per discutere della crisi cipriota, uno dei partecipanti ha riferito di una «situazione paradossale». E ha aggiunto: «Non c'era quasi domanda che ricevesse risposte convincenti. A un certo punto, un ministro ha chiesto se ci fosse un piano B, nel caso la vicenda precipitasse. E nessuno è stato in grado di rispondere…». Peraltro, il collega cipriota era assente; al suo posto il ministro del Lavoro Haris Georgiadis.
Il responsabile delle Finanze Michalis Sarris era a Mosca
quel giorno. Motivo sufficiente per non partecipare alla
teleconferenza? In realtà, non c'è negoziatore europeo che non si
lamenti della difficoltà di trattare con Nicosia. Cipro avrebbe mancato
anche una recente riunione del comitato che raggruppa i direttori dei
Tesori nazionali. Molti diplomatici ammettono che i ciprioti sono
sfuggenti e imprevedibili, più difficili da trattare dei greci. Forse la
stessa storia di Cipro gioca un ruolo. La piccola isola del
Mediterraneo ha sentimenti contrastanti nei confronti dell'Europa.
L'ingresso nell'Unione europea nel 2004 e nella zona euro nel 2008 è
stato l'occasione soprattutto per affrancarsi dalle dominazioni a cui è
stata soggetta nel corso dei secoli. Le chiese di Famagosta e le moschee
di Nicosia sono la traccia concreta di una storia che ha visto il paese
dominato prima dai veneziani, poi dagli ottomani, infine dagli inglesi,
fino all'indipendenza del 1960. La dominazione veneziana è durata un
secolo, tra il 1473 e il 1570. L'Impero ottomano ha controllato l'isola
fino al 1878, quando a occuparlo è stato un altro impero, quello
britannico. Oggi il paese è diviso: a Nord è controllato nei fatti dalla
Turchia, mentre a Sud ci sono ancora basi militari inglesi. In un libro
intitolato The Cyprus Problem, James Ker-Lindsay nota che l'isola «è
all'incrocio tra Europa, Asia e Africa». La posizione strategica di
Cipro è al tempo stesso la sua fortuna e la sua disgrazia. Dietro alla
difficoltà del paese di mettere a punto un piano di salvataggio ci sono
motivi politici ed economici, ma anche storici. Agli occhi di molti
ciprioti l'Unione è diventata ormai una nuova potenza dominatrice. Nota
un diplomatico europeo: «Per di più, con la scelta di accettare la
controversa tassazione dei conti correnti, l'Europa rischia di avere
indebolito un governo, quello del presidente Nicos Anastasiades, nato su
basi europeiste. L'impatto a Cipro è deleterio, l'effetto ottico per
l'Europa pessimo». Insomma, il piccolo Paese, lontano meno di 100
chilometri dalle coste siriane, è combattuto tra il gettarsi nelle
braccia dei russi, con cui condivide la religione ortodossa, oltre che
il futuro del proprio sistema creditizio; o accettare l'aiuto europeo
che ormai considerano con sentimenti contrastanti. Non per altro, a
Berlino il candidato cancelliere socialdemocratico Peer Steinbrück ha
spiegato ieri che il paese «deve decidere se i suoi interessi sono
nell'Unione e nella zona euro». B.R.
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