Non c'è trattativa europea in queste settimane che in un modo o nell'altro non preveda una cessione di sovranità per rafforzare l'integrazione tra i paesi della zona euro. E' al centro delle trattative su una unione bancaria, ma anche su un eventuale rafforzamento dei controlli della Commissione sui conti pubblici nazionali. Su alcuni punti, la Germania sembra essere meglio disposta di altri paesi. La Francia, in compenso, frena. E' facile imputare la scelta alla tradizione souverainiste del paese. In realtà, la linea che prevale al Quai d'Orsay o all'Eliseo, è più complessa, come ho avuto modo di capire durante un soggiorno a Parigi. Dopo decenni di parità con la Germania, la Francia sente crescere sempre di più il divario con il partner tedesco. L'unificazione del 1990 ha cambiato le carte in tavola, ma a giocare è soprattutto il ritardo economico che si è venuto a creare in quest'ultimo decennio. Le ultime stime del Fondo monetario internazionale non hanno lasciato indifferenti a Parigi: l'organizzazione di Washington prevede nel 2013 una disoccupazione del 9,5% e un debito del 92% del prodotto interno lordo. Le stesse cifre per la Germania sono rispettivamente: 5,3% e 81%. La crisi finanziaria e industriale di Peugeot-Citroën è per molti versi la spia di un paese che ha perso competitività. "Un trasferimento di poteri dagli stati membri alle istituzioni europee è un tassello essenziale dell'integrazione europea, ma non può che essere compiuto mentre Francia e Germania sono in posizione paritaria. Oggi in queste circostanze una cessione di sovranità è molto difficile da affrontare a Parigi", ammette un anziano diplomatico francese. Solo se la cessione avviene da posizioni paritarie – prosegue il ragionamento – eventuali divergenze tra i due partner potranno essere risolte, e il voto a maggioranza potrà essere pienamente accettato. Il divario economico si aggiunge ad alcune gravi differenze di veduta: sulla politica energetica (dove la Germania vuole abbandonare il nucleare mentre la Francia continua a farne un suo cavallo di battaglia), così come sulla politica economica (dove il confronto – per semplificare – è sempre tra il monetarismo tedesco e il keynesianismo francese).
Alcuni miei interlocutori si sono lamentati del modo in cui la Germania si pone nelle diverse trattative di questo momento: dall'unione bancaria alla riforma della zona euro. "Ogni volta, il governo federale mette sul tavolo proposte interessante, ma di lungo periodo, come per esempio l'elezione diretta del presidente della Commissione. Chi ha voglia oggi di negoziare un trattato e soprattutto di chiedere al proprio parlamento o alla propria pubblica opinione di ratificarlo?", mi ha fatto notare un altro funzionario dello stato. "Quando si tratta invece di porre mano ai problemi più urgenti, la Germania è spesso reticente". Molti in questo paese frequentano da tempo il vicino tedesco. Ne hanno studiato la storia, ne parlano la lingua, ne conoscono le abitudini e le idiosincrasie, ma evidentemente risentono da parte della Repubblica Federale un atteggiamento poco amichevole e forse anche dominante. Dietro al sentimento francese, ci sono le differenze economiche e probabilmente anche l'impopolarità dell'attuale presidente François Hollande, un fattore che certo non aiuta né la politica economica né la politica estera della Francia. Ma c'è anche un non-detto: il divario franco-tedesco è anche istituzionale, da quando il Trattato di Lisbona riserva alla Germania un numero maggiore di deputati (99) rispetto alla Francia (72). In un momento di debolezza, questa differenza pesa particolarmente negli hôtels e nei palais di Parigi. In queste circostanze, il rischio è che le posizioni dei due paesi si irrigidiscano a vicenda, e che le incomprensioni si moltiplichino. Finora il presidente Hollande ha preferito giocare la carta dell'alleanza con i paesi del Sud contro quelli del Nord, anziché recuperare il ritardo economico accumulato nei confronti della Germania (proprio in questi giorni 98 dirigenti d'impresa hanno criticato aspramente la politica economica del governo perché a loro dire poco coraggiosa). Peraltro, il governo Ayrault è tra i pochi governi di centro-sinistra in Europa. Il timore di alcuni osservatori parigini è doppio: temono l'isolamento della Francia sul continente, e temono una crescente impopolarità dell'establishment politico nel caso desse l'impressione di adottare riforme economiche su pressione dei propri partner. Vista da Parigi, l'ambiziosa riforma della zona euro è una strada tutta in salita.
(Nella foto, il socialista François Hollande, 58 anni, eletto sei mesi fa alla presidenza della Repubblica)
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