E se il Fondo monetario internazionale (FMI) decidesse di abbandonare la Troika che in questo momento sta aiutando la Grecia? La domanda non è banale e rischia a un certo punto di diventare molto concreta. Da tempo ormai l'FMI non è più sulla stessa lunghezza d'onda della Commissione e della Banca centrale europea (BCE) sui modi di aiutare il paese mediterraneo in gravissima difficoltà finanziaria. Nelle ultime settimane, l'organizzazione internazionale sta spingendo perché i creditori pubblici accettino una ristrutturazione del debito greco. Nota con l'acronimo inglese OSI (Official Sector Involvement), questa operazione è diventata un cavallo di battaglia dell'FMI. La ragione è semplice. La situazione debitoria in Grecia è peggiorata grandemente negli ultimi mesi. L'obiettivo di un debito del 120% del prodotto interno lordo entro il 2020, sul quale il Fondo si era impegnato con i suoi azionisti, è ormai drammaticamente lontano. Le ultime stime che circolano nella stessa Troika parlano di un debito che potrebbe essere alla fine del decennio molto superiore a questo livello. Tuttavia, l'idea di un OSI – dopo la ristrutturazione del debito greco in mani private deciso nel 2011 (il cosiddetto Private Sector Involvement) – non piace in Europa. Per la BCE la scelta comporterebbe una perdita finanziaria molto imbarazzante. Percorrere questa strada significherebbe per il presidente dell'istituto monetario Mario Draghi esporsi ai rimproveri di tutti colori che fin dall'inizio hanno criticato gli acquisti di obbligazioni pubbliche sui mercati.
Per la stessa Commissione, l'idea di un OSI non convince. Il rischio in questo caso è che l'esecutivo comunitario venga accusato di aver accettato un surrettizio trasferimento di fondi da un paese all'altro, violando i Trattati europei. L'unico modo per conciliare le diverse posizioni è di chiedere nuovi e impegnativi sforzi di politica economica alla Grecia, pur di ridurre ulteriormente il debito pubblico. Il nuovo programma di aggiustamento, tuttora oggetto di negoziato, sarà già molto impegnativo. "È più impegnativo di quello stilato in febbraio", nota un esponente dell'establishment greco con malcelato timore per le sue conseguenze sociali. L'impegno sarà di tagliare il deficit di circa 10 miliardi di euro nel 2013-2014. Riferito alle dimensioni dell'economia italiana, si tratta di una manovra di 80 miliardi di euro, dopo che la Grecia ha già ridotto il proprio disavanzo primario di circa 10 punti percentuali in tre anni. L'Europa sta chiedendo nuovi sforzi al paese mediterraneo, ma è consapevole in cuor suo che i limiti dell'austerità sono stati raggiunti. Poco alla volta l'establishment europeo si sta adeguando all'idea di dare al paese due anni in più per raggiungere i suoi obiettivi di bilancio. Si legge nel comunicato pubblicato ieri durante il vertice europeo che si è tenuto a Bruxelles: "L'Eurogruppo esaminerà l'esito dell'analisi sulla scia del prossimo rapporto della Troika e prenderà le necessarie decisioni". L'ottica dell'FMI, che deve render conto ai suoi azionisti in Asia o nelle Americhe, è inevitabilmente diversa: al paese sono stati dati molti soldi, e il timore è che l'operazione di salvataggio sia destinata a fallire. A Bruxelles quindi non si esclude più che il Fondo possa a un certo punto lasciare la Troika, un po' come gli investitori che decidono di cut their losses, ridurre le perdite disinvestendo. Un male? Un bene? Tra gli svantaggi c'è certamente la perdita di una expertise, che in Europa né la BCE né la Commissione hanno. C'è da chiedersi poi che impatto politico ed economico una scelta di questo tipo avrebbe sugli altri paesi a programma (l'Irlanda o il Portogallo). Al tempo stesso, forse è giunto il momento perché l'Europa si assuma pienamente il caso greco, trasformando l'operazione da salvataggio internazionale a salvataggio europeo. La decisione implicherebbe un nuovo impegno politico sia nei confronti della Grecia che della zona euro. La promessa di mantenere il paese nell'unione monetaria assumerebbe finalmente una valenza meno retorica, con tutti i pregi ma anche i rischi che ciò comporterebbe.
(Nella foto, Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale)
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